Con il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte andato in frantumi, il partito putiniano mondiale ha perso una pedina importante sulla scacchiera europea. Nella strategia del Cremlino, non da oggi, ma soprattutto oggi con la guerra in corso, è molto importante poter contare in ogni Paese europeo su uno o più soggetti in grado di destabilizzare il quadro politico in senso antiatlantico. Di indebolire l’alleanza democratica a fianco di Kiev.
Usando come grimaldelli i punti considerati politicamente e istituzionalmente deboli – e l’Italia, per ragioni storiche, è considerata tra questi il ventre molle della Nato – Vladimir Putin, al pari dei suoi predecessori comunisti, cerca permanentemente di incunearsi nell’Occidente per indebolirne la forza. Come un tarlo. Più o meno è quello per cui si batte l’ineffabile Alessandro Orsini: partire dal disimpegno italiano per far saltare gli equilibri a tutto vantaggio di Mosca. Non è poi una strategia così complicata.
Ora, che l’avvocato del popolo non sia particolarmente apprezzato dall’amministrazione Biden è cosa nota: troppo flebili, per usare un eufemismo, le sue prove di saldo atlantismo e persino una ferma convinzione sulla naturale appartenenza al campo occidentale, e peraltro verso Conte Washington nutre una profondissima diffidenza dai tempi dell’operazione Barr e per aver sostenuto l’operazione Trump.
Ovviamente gli americani conoscono perfettamente le relazioni pericolose tra il mondo pentastellato e la Russia di Putin e in particolare fra l’ex presidente del Consiglio italiano e il dittatore del Cremlino: non è stato certo rimosso il ricordo della la nota vicenda della visita dei medici e militari russi a Bergamo nei giorni iniziali della pandemia (marzo 2020) con tutti i serissimi dubbi sul fatto che i russi volessero bonificare le nostre strutture pubbliche pretendendo e ottenendo che l’intera missione fosse a spese dell’Italia. Dai dettagli è venuto il forte dubbio che altro che aiuto umanitario si trattava, ma di un’azione di vero e proprio spionaggio: questo sarebbe stato il cuore dell’intesa tra Giuseppi e Vladimir.
Da settimane poi gli americani non possono non ascoltare con sospetto (altro eufemismo) la cantilena contiana contro le armi all’Ucraina che, per converso, è molto apprezzata da Mosca.
Ecco dunque che in questo contesto la scissione di Luigi Di Maio, il ministro degli Esteri filoamericano, nei limiti della sua importanza strategica, non può che fare piacere agi Stati Uniti e impensierire il Cremlino, che adesso sullo scacchiere italiano può contare solo, e nemmeno tanto, su Matteo Salvini, l’altro amico di Putin che però è sempre più in evidente affanno.
Insomma la teoria dei russi secondo la quale l’Italia sarebbe il ventre molle della Nato in Europa ha ricevuto un colpo serio: di qui a dire che la scissione dimaiana è stata in qualche modo ispirata o favorita dagli americani ce ne corre ma quel che è sicuro è che si tratta di un passaggio di una certa importanza per garantire la fedeltà occidentale del nostro Paese: non siamo dunque alla scissione di palazzo Barberini (1947) quando l’America favorì la scissione di Giuseppe Saragat indebolendo i socialisti di Pietro Nenni, ma la mossa di Di Maio torna utile al gioco occidentale.
Restando ovvio che la linea della fermezza atlantica è assicurata in primis da Mario Draghi, il quale ieri ha incassato, dopo quella del Senato, anche il sì della Camera alla risoluzione della maggioranza.
Il presidente del Consiglio ha tenuto un discorso particolarmente forte anche perché pronunciato a braccio e dunque con un tono insolitamente veemente, squadernando con chiarezza disarmante la differenza tra “noi” e “loro”, cioè quelli che combattono per l’Ucraina e quelli che dicono che «la Russia è troppo forte, perché combatterla?».
E anche se l’avvocato foggiano sta formalmente con i primi, non c’è dubbio che tutta la sua breve e inquietante storia politica va in tutt’altra direzione: ecco perché, di fatto, la scissione di Di Maio lo rende praticamente innocuo, non determinante nemmeno per la sussistenza della maggioranza di governo, politicamente marginale e senza frecce al suo arco.
Chi gli consiglia in queste ore di uscire dal governo, da Alessandro Di Battista a Marco Travaglio, forse non ha messo nel conto che Draghi (e Sergio Mattarella) potrebbero, con l’uscita del M5s contiano, ritenere finita l’esperienza del governo di unità nazionale e dunque andare alle urne: converrebbe all’avvocato, ridotto nelle condizioni in cui si trova attualmente?
L’ex presidente del Consiglio è dunque in un vicolo cieco. È questo per gli Stati Uniti e gli europei che sostengono la resistenza contro i russi non può che essere una buona notizia.