Lunedì la Dinamo Tbilisi ha affrontato in casa il Gagra in una partita di campionato. In sé, nulla di strano, dato che la Erovnuli Liga si svolge normalmente nel corso dell’anno solare, a differenza della maggior parte degli altri tornei di calcio europei. La particolarità di questa partita è che prima del fischio d’inizio i giocatori della squadra di casa sono scesi in campo con la bandiera dell’Unione europea.
Una scelta simbolica, e non solo perché la Dinamo Tbilisi è la massima rappresentante del calcio georgiano – nel 1981, ai tempi dell’Unione Sovietica, vinse anche una Coppa delle Coppe – ma perché oggi più che mai il discorso intorno alla UE è sempre più centrale nel Paese caucasico. Poche ore prima della partita, circa 60mila persone si erano radunate nella capitale per manifestare a favore dell’ingresso nell’Unione, una mossa ritenuta ormai fondamentale per cautelarsi dall’imperialismo russo, sebbene a Bruxelles la richiesta non abbia generato il consenso sperato.
L’invasione dell’Ucraina ha finito per diventare il catalizzatore delle tensioni nell’Est Europa lungo i confini russi, rinforzando i sentimenti filo-occidentali in popolazioni che oggi si sentono sempre più minacciate dall’ambizione neo-zarista di Putin. In tutto questo discorso, la Georgia è uno degli stati di cui si parla di meno qui nell’Europa occidentale, ma che è forse l’immagine più evidente, dopo l’Ucraina, dei rischi che corrono i vicini della Russia.
Nel 2008, la Crimea e il Donbass si chiamavano Abcasia e Ossezia del Sud. Due regioni georgiane di confine, teatro di scontri etnici fin dal 1989, esplosi in una guerra civile nei primi anni Novanta che si è poi conclusa con una pace precaria garantita dalle truppe russe. Nel Nuovo Millennio, con l’ascesa di Putin da una parte e dei filo-europeisti dall’altra, i rapporti tra i due paesi sono peggiorati, fino a che nel 2008 è scoppiato un nuovo conflitto tra i separatisti, appoggiati militarmente da Mosca, e Tbilisi.
La guerra in Abcasia e Ossezia del Sud, dove ora esistono due repubbliche la cui indipendenza è riconosciuta solo da Mosca e pochi altri, assomiglia oggi a una grande prova generale del conflitto in Ucraina. Entrambi figli di quell’instabilità post-dissoluzione dell’URSS che ha dato luogo a guerre mai del tutto risolte, e che paradossalmente i tifosi di calcio stanno iniziando a scoprire in questi anni, dal Qarabağ azero, strumento di appropriazione politica a mezzo sportivo del conteso Nagorno-Karabakh, fino allo Sheriff Tiraspol moldavo ma in realtà squadra simbolo dei separatisti della Transnistria.
In quanto “prima aggredita” da Putin, la Georgia è da tempo ai ferri corti con il governo di Mosca, anche per via delle ripetute violazioni dei diritti umani sui propri cittadini commesse dai russi durante la guerra del 2008, e recentemente riconosciute dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Dal 2012, la politica georgiana mostra una netta impronta europeista, non solo perché dalle elezioni di dieci anni fa il Paese è governato ininterrottamente da Sogno Georgiano (il cui segretario generale, per la cronaca, è l’ex-difensore del Milan Kakha Kaladze, che è pure sindaco della capitale), ma anche perché il principale partito d’opposizione, il movimento guidato da Mikheil Saakashvili, è anch’esso a favore dell’ingresso nella UE.
È stato proprio Saakashvili, nel 2003, ad avviare l’inversione di rotta come leader della Rivoluzione delle Rose, con cui i manifestanti avevano forzato le dimissioni del presidente Eduard Shevardnadze e il passaggio da una politica di vicinanza a Mosca a una pro-Bruxelles. Un altro esempio di come Georgia e Ucraina sembrino quasi sovrapporsi. Non a caso, a fine marzo su Inside Over Emanuel Pietrobon e Mauro Indelicato si domandavano se il paese caucasico potesse essere il prossimo obiettivo militare di Putin. Timori forse anche rafforzatisi dopo che, poche settimane fa, il governo separatista dell’Ossezia del Sud ha rinunciato al referendum per l’annessione alla Russia.
Le tensioni con la Russia e la tendenza verso l’Unione Europea, ben visibili dalla manifestazione di lunedì a Tbilisi, sono ormai tratti distintivi del discorso politico in Georgia. Se n’è accorto anche Khvicha Kvaratskhelia, 21enne promessa del calcio locale che ha già firmato per trasferirsi al Napoli per la prossima stagione, indicato come uno dei maggiori talenti in Europa. Lo scorso marzo, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, Kvaratskhelia ha ricevuto molte critiche e pare anche minacce da alcuni suoi connazionali per via del fatto di giocare nel Rubin Kazan, un club russo. Per cercare di placare le polemiche, il giovane calciatore ha preso la non semplice decisione di rescindere il suo contratto col Rubin per tornare a giocare nel meno blasonato contesto della Dinamo Batumi.
Questa è forse una spia dell’altro lato della medaglia: la crescente ferocia del dibattito politico in Georgia, che rende complicato dissentire dalla linea di Sogno Georgiano. Alle elezioni del 2020, il partito del premier Giorgi Gakharia ha perso circa 80mila voti e 25 seggi, pur mantenendo una maggioranza quasi assoluta. Gakharia era già Primo Ministro nel giugno 2019, quando la sua decisione di invitare il politico russo Sergei Gavrilov a parlare al parlamento aveva suscitato furiose proteste di piazza, che il governo di Tbilisi aveva represso con violenza. Dal 2021, Gakharia è stato sostituito al potere da Irakli Garibashvili, ma le polemiche riguardo violazioni dei diritti umani e della libertà di stampa non si sono mai spente.
Sono queste le “condizioni” di cui Ursula von der Leyen intende verificare il rispetto, prima di accettare la candidatura di Tbilisi all’UE. Venerdì scorso, la presidente della Commissione europea ha aperto all’ingresso di Ucraina, Moldavia e Georgia nell’Unione, ma con qualche riserva riguardo l’ultimo caso. Al centro del dibattito c’è anche la situazione del leader dell’opposizione Saakashvili, arrestato nel 2021 per vecchie accuse di abuso di potere e violenza politica: secondo Amnesty International e l’ambasciata statunitense a Tbilisi, sarebbe stato torturato, e non gli verrebbero garantite adeguate cure mediche a dispetto delle sue gravi condizioni di salute.
Una situazione non semplice per l’Europa, anche perché tra i più forti alleati di Saakashvili c’è proprio il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che non vede di buon occhio il governo di Tbilisi. Von der Leyen dovrà trovare una mediazione sulla Georgia, perché tenere il Paese caucasico fuori dall’UE sembra impraticabile: secondo i sondaggi, l’80% dei circa 3,7 milioni di abitanti è favorevole a entrare nell’Unione. A fine anno, la Commissione ha promesso che riesaminerò il caso.