La tonalità di Palermo è l’ombra: il chiaroscuro degli androni, la frescura dell’orto botanico, la silhouette dei palazzi disegnata sui marciapiedi arroventati, ma anche il mistero dei suoi racconti, sempre in bilico fra mito, leggenda e invisibilità. A iniziare dal suo protettore: il famoso Genio di Palermo di cui non sappiamo se sia un dio, un eroe, un sovrano. Non sappiamo neppure come sia arrivato sin lì, nell’antica Panormos, e quando.
Eppure è dappertutto: c’è chi sostiene che siano ben diciassette le rappresentazioni del Genio. È raffigurato come un vecchio antico dai capelli e dalla barba fluente: sul suo capo una corona, al suo fianco spesso un’aquila, ai suoi piedi un cane. A volte un enorme serpente gli succhia una mammella. È ovunque: in forma di fontana (Villa Giulia), di medaglione su un cancello (Fontana Pretoria), di arazzo (a Palazzo Comitini).
Sulla porta della Cappella Palatina è una composizione di tessere di mosaico; talvolta è in forma di affresco, come sul soffitto del bellissimo salone da ballo di Palazzo Isnello o nella chiesa Del Gesù (Casa Professa). Il Genio più antico è il cosiddetto Genio del porto o Genio del molo: un altorilievo consumato dal tempo che ora sta all’ingresso del porto turistico a protezione della città e dei suoi abitanti, ma anche come segno di benvenuto per le navi che vogliano gettare l’ancora.
Il Genius loci di Palermo è diventato anche un “pupo” con una lunga barba bianca e una bella corona, confezionato dall’antica famiglia di pupari Argento.
Solo nella fontana del bellissimo giardino di Villa Giulia però il Genio mostra tutta la sua imponenza: la statua, realizzata in marmo bianco di Carrara nel 1778 da Ignazio Marabitti, raffigura un sovrano possente con un cane ai suoi piedi a rappresentare la fedeltà. Un’aquila spalanca le ali al suo fianco; alle sue spalle da una roccia pende una cornucopia simbolo di buona fortuna e di abbondanza; in una mano stringe un serpente che gli si avvita in spire lungo tutto il corpo.
Non è un’immagine antica e non nasconde il segreto di un racconto, eppure proprio lì nel giardino che Goethe definiva il posto più bello del mondo ci si può fermare al fresco e ascoltare la storia di Saturno, signore dell’Età dell’oro che veniva raffigurato con un’iconografia non tanto diversa dal Genio di Palermo. Il dio regnava in un tempo prospero e felice in cui la terra offriva spontaneamente i suoi frutti ed erano bandite morte e malattie.
In questo senso la presenza del Genio nelle edicole nascoste e negli anfratti delle case, nel centro delle fontane, sui soffitti affrescati e in faccia al vento sul fronte del porto sarebbe il ricordo di un’età favolosa per il genere umano e, nel contempo, una sorta di portafortuna: la speranza di un ritorno a splendori antichi.
Anche il serpente con le sue spire ipnotiche che formano un tondo starebbe per il tempo ciclico che si avvita su se stesso e riporta la città al principio, a Saturno.
Un’altra spiegazione per la presenza del serpente nell’icono- grafia del Genio pare regalarla una sua versione piccola, Palermu ’u Nicu, “Palermo il piccolo”, una statua di provenienza incerta collocata alla fine del Cinquecento sulla scalinata del Palazzo Pretorio, sede di rappresentanza del municipio cittadino.
Alla base della scultura, un’incisione ricorda: Panormus conca aurea suos devorat alienos nutrit (“Palermo conca d’oro divora i suoi e nu- tre gli stranieri”). Dietro a questo motto ci sarebbe un’allusione al ruolo avuto da Palermo nel corso delle guerre puniche quando aveva favorito Scipione l’Africano contro i Cartaginesi e nutrito quindi il nemico tradendo i suoi.
In quest’ambiguità, nella presenza di elementi che non offrono mai un’interpretazione univoca, Palermo conserva attraverso il Genio il proprio mistero: svela piccoli scampoli di storie e altri ne nasconde, rendendo impossibile acciuffare il bandolo del rac- conto. Mentre si va in cerca di “Geni” in giro per la città, come per una caccia al tesoro, non è quindi la vera leggenda del vero Genio di Palermo a rivelarsi, non la sua origine, non il suo significato, ma i palazzi, le case, gli antri, le fontane, i giardini e le piazze a concedersi, anche per poco, in un piccolo sprazzo di luce.
Da “La Sicilia degli dei – Una guida mitologica” di Giulio Guidorizzi e Silvia Romani, (Raffaello Cortina Editore), 296 pagine, 19 euro