È inutile girarci attorno e far finta di niente: la scissione del partito di maggioranza relativa crea una montagna di problemi a Enrico Letta. Il suo campo largo è pieno di erba secca andata a fuoco sotto la canicola, è disseminato di cocci di vetro.
Sarà interessante vedere i primi sondaggi su quel che rimane dei Cinquestelle al seguito di Giuseppe Conte e quanto pesa, se ha un peso, “Insieme per il futuro” di Luigi Di Maio. In ogni caso si tratta di frammenti che l’attuale legge elettorale faticherà a raccogliere per portarli, ricomposti, in Parlamento; quanto meno in numero sufficiente a formare una maggioranza ed evitare un governo di centrodestra.
Letta è un uomo che cammina sui pezzi di vetro, ma non è un santo come nella canzone di Francesco De Gregori, un santo che cammina a piedi nudi senza tagliarsi. In questa situazione politica potrà invece farsi molto male. Non ha la colla per riattaccare i pezzi di vetro in un progetto di coalizione capace di competere con il centrodestra.
È Letta a essere il più spiazzato da questa tempesta che polverizza i Cinquestelle. Non solo si trova di fronte il paradosso imbarazzante di aver due interlocutori armati l’uno contro l’altro.Giuseppe Conte e Luigi Di Maio si combatteranno fino alla morte. Che spettacolo per gli elettori!
Conte per sopravvivere e darsi un profilo politico attrattivo dovrebbe uscire dal governo, passare all’opposizione, seguendo la linea di Alessandro Di Battista, ma non può, non vuole, non ha il coraggio perché significherebbe precipitare al voto prima del 2023. Di Maio abiura tutto quello che lo ha portato alla più alta vetta della Farnesina, nobilitando la rottura per non finire nelle forche caudine del doppio mandato e alimentando l’ennesimo terzo polo centrista.
Ma i voti dove sono? Questi due tronconi anzi moncherini del Movimento 5 Stelle che percentuali avranno in una competizione elettorale fatta con l’attuale sistema elettorale? Nei collegi uninominali non toccherebbero palla. Dovrebbero andare, separatamente, in processione a piazza del Nazareno a chiedere a Letta un accordo.
Nella quota proporzionale avranno il problema di superare la soglia di sbarramento del 3%. Di Maio novello euro-atlantico aveva i voti perché intercettava disagi, reazioni contro le élites, l’onda populista, una voglia di rottura qualunque cosa questo significasse. Ma oggi Giggino versione Mastella che appeal può avere dopo che è stato contro la Tav, il Tip, i rigassificatori, le trivelle, i termovalorizzatori, il partito di Bibbiano?
E fermiamoci qui perché basta questo per spiegare che lui non sarà mai la versione originale del liberale moderato e responsabile. Non basta la grisaglia euroatlantista per rifarsi una verginità agli occhi di quell’area centrale e moderata, la solita araba fenice che è sempre stata impallinata in tutti i voli elettorali. Il sindaco Sala e altri sindaci farebbero bene a contare fino a dieci prima di imbarcarsi in un’operazione che rischia di danneggiarli.
Non prendiamoci in giro. La fredda ma solida realtà dei numeri, dovrebbe portare Letta a sperare che cresca molto una Cosa coerente, lineare credibile, che non sia un pendolo buono per tutte stagioni e tutte le maggioranze. L’Azione di Carlo Calenda è per il momento l’idea che più si avvicina a questa Cosa, ma dovrebbe avere l’ambizione di un consenso a due cifre, almeno del 10%. E che si affianchi, dentro o fuori una coalizione, a un Pd che superi di 4-5 punti il 20%.
Una legge proporzionale aiuterebbe molto, ma non sembra al momento ci siano i numeri in Parlamento. Vedremo dopo l’estate, pochi mesi prima delle Politiche, se ci saranno movimenti in questa direzione. Soprattutto dentro il centrodestra dove Matteo Salvini e Silvio Berlusconi dovranno presto fare i conti con lo strapotere contrattuale conquistato da Giorgia Meloni.
Anche con Rosatellum l’operazione potrebbe riuscire a fermare o contenere il centrodestra. Ma ci vorrebbero le percentuali citate del Pd e della Cosa liberal europeista. Fare affidamento su quel che resta del Movimento del Vaffa è una perdita di tempo. Un attardarsi a uno scenario politico in stato di decomposizione.
Poi c’è il fattore B che farebbe la differenza. Sarebbe necessario lo scioglimento del piccolo ghiacciaio elettorale di Forza Italia che tutti i sondaggi danno tra 6 e l’8%. Berlusconi in cuor suo sa che l’Italia andrebbe incontro a molti problemi con un presidente del Consiglio che, come Marine Le Pen, Viktor Orbán, Paulo Abascal di Vox e nazionalisti vari, ritiene la legge italiana sempre prevalente sulle norme europee. Un premier che non è d’accordo con le profonde riforme dell’Unione europea illustrate da Draghi in queste ore in Parlamento. Berlusconi sa perfettamente cosa pensano nelle cancellerie e nel Partito popolare europeo. .
E allora o sarà lui a scongelare il tesoretto elettorale di Forza Italia o potrebbero essere gli elettori a farlo, lasciandolo al suo destino. Non saranno i singoli, senza nulla togliere a personalità come Mara Carfagna o Giovanni Toti, a modificare i flussi elettorali in questa segmento politico. Il gioco nelle urne è maledettamente duro. Le manovre parlamentari con il florilegio di gruppi sono solo uno sterile esercizio di Palazzo; non valgono un fico secco.
Ormai per la rielezione solo posti in piedi a causa della riduzione del numero dei parlamentari, voluta dai 5 Stelle (quando per Di Maio uno valeva ancora uno), con i voti del Pd a trazione Zingaretti (in cambio della legge proporzionale).
Le Politiche si avvicinano a lunghe falcate. Non servono generali senza truppe. Servono voti veri, progetti e proposte nette, non cocci dell’uno/due per cento che stimolano più che altro l’astensionismo. Ce ne vogliono tanti di voti nelle grandi città, nei collegi uninominali. Voti d’opinione per affrontare i partiti del centrodestra che, quando sarà il momento, statene certi, sapranno mettere da parte le profonde divisioni che l’attraversano. Che poi riuciranno a governare è un altro paio di maniche.
Nel frattempo magari avremo ancora la guerra, con tutto quello che significa in termini di inflazione, potere d’acquisto, costo dell’energia, tensioni sociali. E Draghi intanto se ne sarà tornato a Città della Pieve. Buona fortuna all’uomo che cammina sui pezzi di vetro.