Quesiti linguisticiQual è il plurale di aspirapolvere? Risponde la Crusca

Il sostantivo è invariabile, ma non mancano anche usi diversi. E perché il genere è maschile, mentre lavastoviglie e lavatrici sono al femminile?

(Unsplash)

Tratto dall’Accademia della Crusca

Molti lettori ci hanno scritto per sapere quale sia la corretta forma di plurale di aspirapolvere e per quale ragione il sostantivo sia di genere maschile, nonostante contenga al suo interno una parola che è invece di genere femminile (polvere) e di genere femminili siano anche i nomi di altri due elettrodomestici di uso comune, lavatrice e lavastoviglie.

Risposta
Rispondiamo ai dubbi dei nostri lettori sul sostantivo aspirapolvere cominciando da quelli relativi al suo genere grammaticale, per alcuni non del tutto trasparente, in quanto non immediatamente deducibile dall’articolo determinativo che spesso lo accompagna (nella variante elisa l’). Come indicato dalla quasi totalità dei dizionari dell’uso (tra cui il GRADIT, il Sabatini-Coletti, il Devoto-Oli, lo Zingarelli e il Vocabolario Treccani online), la parola aspirapolvere, composta dal verbo aspira(re) e dal sostantivo polvere, è un sostantivo di genere maschile; gli strumenti lessicografici non ci spiegano tuttavia la ragione per cui al sostantivo sia stato assegnato proprio tale genere: proviamo allora a formulare alcune ipotesi in merito. In primo luogo possiamo escludere l’ipotesi avanzata da alcuni lettori secondo cui il genere di un composto Verbo + Nome verrebbe assegnato sulla base del genere del sostantivo che funge da secondo elemento componente: la grande maggioranza di tali composti è infatti di genere maschile, indipendentemente dal genere dell’elemento nominale posto al suo interno (per esempio, composto da sostantivo femminile singolare, abbiamo lo scolapasta, il tritacarne, il posacenere; con sostantivo femminile plurale il tagliaunghie, il fermacarte, il reggicalze; con sostantivo maschile singolare il tostapane, il trinciapollo, lo scaldabagno; con sostantivo maschile plurale il parafulmini, il portapacchi, il cavatappi). Come chiarito soprattutto dagli studi di Anna M. Thornton (tra cui citiamo almeno Thornton 2003), nell’italiano contemporaneo i criteri di assegnazione del genere dipendono da regole di tipo fonologico o da regole di tipo semantico: secondo le prime, l’assegnazione avviene in base ad aspetti formali del nome (quali per esempio la desinenza -a, che porta ad attribuire il genere femminile al sostantivo che la presenta), mentre per le seconde l’assegnazione avviene in base al significato del nome (il cui genere può essere stabilito, per esempio, sulla base del genere dell’iperonimo del nome stesso, di un sostantivo semanticamente affine, o di un traducente, nel caso di un prestito da un’altra lingua). Per il nostro sostantivo, così come per gli altri composti Verbo + Nome che designano un oggetto o uno strumento, possiamo ipotizzare un criterio di assegnazione del genere di tipo semantico, in particolare quello che prevede l’attribuzione del genere dell’iperonimo, rappresentato per i nostri composti da forme quali oggetto, strumento, apparecchio e simili, tutti appunto di genere maschile, o da un sostantivo come elettrodomestico, ugualmente maschile (valido però solo per alcuni dei nostri composti). All’attribuzione del genere maschile al nostro sostantivo potrebbe inoltre aver contribuito il suo frequente impiego anche come aggettivo, a specificare soprattutto il significato della forma maschile motore: in rete il 17/1/2022 si contano infatti ben 40.600 risultati della stringa di ricerca “motore aspirapolvere”, a cui vanno aggiunti i 14.500 del plurale “motori aspirapolvere” e i 1.460 di “apparecchio aspirapolvere”, sempre con accostamento dell’aggettivo a un sostantivo maschile, contro gli appena 2.660 di “macchina aspirapolvere”, con accordo al femminile.

Resta a questo punto da chiarire per quale ragione, se i composti indicanti uno strumento o un apparecchio sono di norma maschili, i nomi di altri apparecchi o elettrodomestici siano invece di genere femminile: alcuni dei nostri lettori citano il caso di lavastoviglie, appartenente alla stessa categoria di composti Verbo + Nome di aspirapolvere (ma a differenza di quest’ultimo femminile), o ancora quello di forme quali lavatrice, lucidatrice, asciugatrice e simili. Per quanto riguarda queste ultime, l’assegnazione del femminile si spiega con la stessa struttura morfologica delle voci: si tratta infatti di aggettivi deverbali sostantivati formati a partire da una base verbale (lavare, lucidare, asciugare) con l’aggiunta del suffisso agentivo femminile -trice. A sua volta, la selezione del suffisso femminile in luogo del maschile -tore è probabilmente dovuta al fatto che, in origine, tali forme erano usate come aggettivi, accostate al sostantivo femminile macchina di cui specificavano il significato (e quindi la macchina lavatrice, la macchina lucidatrice, ecc.), come del resto dimostrano le prime attestazioni delle forme in questione (cfr. Maria G. Lo Duca in Grossmann-Rainer 2004, pp. 364-69). Quanto invece a lavastoviglie, il genere femminile si potrebbe spiegare con il criterio di assegnazione del genere dell’iperonimo, rappresentato in questo caso non da apparecchio o elettrodomestico (come per gli altri composti), bensì da macchina: e in effetti, nelle prime attestazioni riscontrate in Google libri si parla proprio di “macchina/-e lavastoviglie”. In alternativa, il femminile si potrebbe anche motivare con la vicinanza della forma alla parola lavatrice, appunto di genere femminile, o con ragioni di distinzione semantica, ossia per distinguere la persona che lava i piatti, indicata al maschile quando di sesso maschile (il lavastoviglie), dalla macchina per il lavaggio automatico delle stoviglie, indicata invece al femminile (la lavastoviglie), secondo un criterio di differenziazione applicato d’altra parte anche al sostantivo semanticamente affine lavapiatti (il lavapiatti ‘addetto alla lavatura delle stoviglie’ e la lavapiatti ‘lavastoviglie’).

CONTINUA A LEGGERE