Il mercato è prontoL’estinzione delle auto inquinanti farà bene allo smog e al clima, ma non solo

Saremo meno dipendenti dalle importazioni di petrolio, l’occupazione (a lungo termine) potrebbe aumentare e la leadership dell’industria automobilistica europea è destinata a crescere. Gli effetti dello stop alle auto a diesel e benzina entro il 2035, che per diventare definitivo ha bisogno del via libera da parte del Consiglio dell’Ue, non si limiteranno alla questione ambientale

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I motori a combustione interna saranno presto un lontano ricordo. Il Parlamento europeo ha infatti approvato la proposta della Commissione sul divieto di vendita dei furgoni e delle auto a diesel e benzina entro la fine del 2035. Un risultato giunto al termine di una giornata a dir poco convulsa, che ha visto tornare in Commissione ambiente la proposta della riforma dell’Ets (Emissions trading system), il sistema di scambio di quote di emissione di gas serra: un elemento cardine del Fit for 55, il pacchetto di norme per realizzare gli obiettivi del Green deal.

Per quanto riguarda le auto a combustione interna, il voto del Parlamento europeo (339 favorevoli, 249 contrari e 24 astenuti) è andato nella direzione della sostenibilità, ma la partita terminerà ufficialmente il 28 giugno, quando si riuniranno i Ministri dell’ambiente degli Stati membri dell’Unione europea. Senza il via libera da parte del Consiglio dell’Unione europea, la misura non può diventare definitiva. 

L’8 giugno, in aula è poi passato un emendamento richiesto dagli eurodeputati italiani per consentire ai piccoli produttori di continuare a vendere auto a diesel e benzina fino al 2036, ma la sostanza e il valore del traguardo non cambiano. Uno dei motivi? Non è stato approvato il discusso emendamento del Partito popolare europeo (Ppe), che permetteva alle industrie automobilistiche di ridurre le emissioni di Co2 del 90% entro il 2035, anziché del 100%. 

La (delicata) questione dei posti di lavoro
L’emendamento sopracitato, secondo il vicepresidente del Ppe Antonio Tajani, sarebbe stato importante per «difendere l’occupazione». Il coordinatore unico di Forza Italia si riferiva probabilmente alle recenti stime dell’osservatorio automotive di Federmeccanica, secondo cui lo stop delle auto a diesel e benzina entro il 2035 potrebbe causare la perdita di 73.000 posti di lavoro nel settore automobilistico, di cui 63.000 nel periodo dal 2025 al 2030. 

Tuttavia, secondo Veronica Aneris, direttrice per l’Italia della Federazione europea per il trasporto e l’ambiente (Transport & Environment), quei lavoratori «non sono a rischio perché l’Europa impone una data, ma perché il mercato sta andando verso una direzione diversa». In effetti, l’industria italiana è ormai stabilmente fuori dalla top 10 dei produttori globali di automobili: il settore sta mutando da anni. La transizione è inesorabile, nel bene e nel male. 

«Siamo passati da circa 1,5 milioni di veicoli prodotti nel 1999 a poco più di 500.000 unità prodotte nel 2019. Ora siamo diventati un settore che produce soprattutto componenti. Gli esuberi della Bosh a Bari erano già realtà prima del voto di oggi (ieri, ndr). Dobbiamo capire dove sono presenti le competenze che andranno a spegnersi e dove sono le nuove competenze.  E poi servono delle politiche industriali, che non abbiamo fatto quando le facevano già in Francia, in Inghilterra e in Germania. Queste politiche industriali, tra l’altro, non sono state incluse nel Recovery plan», sottolinea Aneris. 

Rimanendo sulla questione dell’occupazione, il Ceo di Renault Luca De Meo spiega che in Francia potrebbero saltare 75.000 posti di lavoro a causa di questa transizione, ma nel lungo periodo se ne creeranno 500.000. Si tratta, ovviamente, di una stima. L’European association of automotive suppliers sottolinea invece che le nuove tecnologie usate per le e-car potrebbero far nascere 226.000 nuovi posti di lavoro in Europa entro il 2040, in particolare nelle aziende specializzate in software e infrastrutture per le automobili a batteria. 

Co2, smog, petrolio e leadership del mercato automobilistico europeo
Oltre a camminare verso la direzione della riduzione delle emissioni di anidride carbonica (Co2), il voto dell’8 giugno è fondamentale per la lotta allo smog: i mezzi a motore termico, come mostra la Corte dei conti europea, sono i principali responsabili (39% sul totale) delle emissioni di ossido di azoto, che secondo l’Agenzia europea per l’ambiente (Aea) hanno causato più di 10.000 morti in Italia nel solo 2019. 

Il divieto di vendita oltre il 2035 non è una questione prettamente climatica e ambientale: «Il voto del Parlamento europeo», ci spiega Veronica Aneris di Transport & Environment, «è a favore dell’inizio della fine dell’importazione di petrolio in Europa, perché il trasporto su strada è uno dei principali driver di queste importazioni». 

E non è tutto: «Ne beneficerà anche la leadership dell’industria automobilistica europea, che è pronta ma aveva bisogno di un segnale netto da parte dei decisori», sostiene Aneris. La transizione verso l’elettrificazione dei veicoli viaggia ormai spedita, ma una data del genere è in grado di fornire maggiori sicurezze a un settore che – per sopravvivere – deve obbligatoriamente cambiare pelle: il clima e l’aria che respiriamo non possono più attendere. 

Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), nel 2021 le vendite di auto elettriche in Europa sono aumentate di quasi il 70% rispetto all’anno precedente, con un picco nel mese di dicembre (per la prima volta, le e-car hanno superato le auto a diesel). In più, stando ai numeri forniti dall’associazione Motus-E, nel 2021 sono state immatricolate 67.255 e-car a batteria (+107% rispetto al 2020) e 69.499 plug in hybrid (+153,75%).

La decisione del Parlamento europeo, se confermata dai Ministri dell’ambiente il 28 giugno, potrebbe dare una ulteriore spinta al mercato delle auto elettriche, destinato a ricoprire un ruolo di assoluto protagonista già nei prossimi 2-3 anni. Nella speranza che si verifichi l’atteso “effetto scala”. Cosa significa? Secondo un report di Transport & Environment, i veicoli elettrici a batteria diventeranno più economici di quelli tradizionali nel giro di sei anni, ma a una sola condizione: la produzione e gli investimenti devono aumentare. Auspicando che i governi non dimentichino, parallelamente, di dare un maggior rilievo alla mobilità attiva e ai trasporti pubblici.

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