Inazione cronicaL’Italia non sta facendo nulla per limitare lo smog, secondo l’Unione europea

Il nostro Paese è tra quelli con più infrazioni d’Europa in ambito ambientale. Il provvedimento più recente condanna il preoccupante immobilismo davanti alle emissioni di biossido di azoto (costantemente sopra i limiti), dovute principalmente al traffico veicolare del secondo Stato più motorizzato del continente

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Le istituzioni europee rimproverano Roma sull’inquinamento, per l’ennesima volta. Nella mattinata di giovedì 12 maggio, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha dichiarato l’inadempimento dell’Italia per il mancato rispetto, ritenuto «sistematico e continuativo», dei limiti annuali di biossido di azoto (NO2) nell’aria – pari a 40 g/m3 – in diverse zone d’Italia: tra le altre, gli agglomerati di Torino, Brescia, Milano, Bergamo, Genova, Roma e Firenze. 

Non è tutto, perché l’istituzione europea con sede in Lussemburgo – che ha accolto un ricorso della Commissione – ha condannato il nostro Paese anche per l’inazione di fronte alla questione dello smog. Più nello specifico, per non avere introdotto misure per limitare le emissioni di questa sostanza inquinante. Dal 2003 all’inizio del 2021, stando ai dati elaborati da Openpolis, sono state 25 le infrazioni europee subite dall’Italia per questioni ambientali: siamo i terzi peggiori d’Europa sotto questo punto di vista. 

La giustificazione delle «tradizioni locali»
La Corte di giustizia dell’Unione europea, durante le sue analisi sulla qualità dell’aria, ha rilevato un superamento dei limiti dei biossido di azoto in tutte le zone prese in esame. Le violazioni sono state sistematiche e costanti dal 2010 ad oggi. L’Italia, per difendersi dal ricorso della Commissione europea, ha avanzato le seguenti giustificazioni, ritenute non valide dai giudici: le difficoltà legate a fattori socio-economici; gli investimenti da mettere in opera; la tendenza al ribasso dei valori di biossido di azoto; i tempi di attuazione lunghi dei piani adottati; le tradizioni locali; la presenza di fattori esterni come l’orografica di certe zone e la circolazione dei veicoli diesel. 

Resta da capire cosa intende l’Italia con “tradizioni locali”. Forse si riferisce allo storico e radicato attaccamento dei suoi abitanti ai mezzi inquinanti? Ricordiamo che, assieme al Lussemburgo, siamo il Paese più motorizzato d’Europa (646 automobili ogni 1.000 abitanti). 

Inoltre, i principali studi sul tema hanno certificato che il traffico veicolare è tornato ai livelli pre-pandemia, nonostante una incoraggiante (ma non ancora sufficiente) crescita della mobilità dolce. Roma, stando alla Global scorecard di Inrix, è la seconda città al mondo dove si perdono più ore imbottigliati nel traffico (254 ore), mentre Milano è settima (226). Il Transport and environment report 2019 dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea) ha inserito l’Italia al terzo posto della classifica dei Paesi europei in cui si passa più tempo nel traffico. Da noi, insomma, la congestione stradale è una patologia cronica. E il risultato è un’aria sempre più irrespirabile, anche a causa degli ossidi di azoto. 

L’Italia non ha rispettato gli obblighi della direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria. Gli Stati membri dell’Unione europea avevano due anni di tempo per adeguarsi ai parametri stabiliti dalla norma. E in caso di violazione, come spiega la Stampa, «il Paese interessato doveva presentare alla Commissione un piano di rientro» entro i primi due anni dal primo accertamento di sforamento. L’Italia non ha fatto nulla di tutto ciò. Grazie alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, la Commissione europea potrà aprire nei confronti dell’Italia un ulteriore ricorso. Un ricorso che potrebbe essere accompagnato da multe piuttosto corpose. 

Più di 10.000 morti all’anno a causa del biossido di azoto
Secondo un report dell’Agenzia europea per l’ambiente (Aea), l’Italia è il primo Paese del continente per morti premature connesse al biossido di azoto (10.640 decessi nel 2019), generato prima di tutto dai mezzi a motore, e poi dal riscaldamento domestico e dai processi industriali. Solo a Milano, ogni anno, circa 1.500 persone perdono la vita a causa di patologie connesse all’esposizione a questa sostanza inquinante. I mezzi a motore, come mostra la Corte dei conti europea in una relazione del 2018, sono i principali responsabili (39% sul totale) delle emissioni di ossido di azoto (monossido di azoto+biossido di azoto). Questa percentuale scende all’11% per quanto riguarda l’impatto delle automobili sulle emissioni totali di PM10 e di PM2,5. 

Un importante studio, pubblicato sulla rivista Science of The Total Environment, ha ipotizzato che l’esposizione a lungo termine a questo inquinante potrebbe aumentare il rischio di morire a causa di complicazioni dovute al coronavirus. Oltre a danneggiare gli ecosistemi acquatici e a contribuire all’acidificazione delle piogge, il biossido di azoto è pericoloso per la salute umana: aumenta il rischio di patologie respiratorie, ematologiche ed epatiche. 

Le emissioni di ossidi di azoto – tra cui il biossido di azoto – nei Paesi europei sono nettamente calate negli ultimi trent’anni: i dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) parlano di un -58,5% dal 1990 al 2019. Tuttavia, come mostra un’elaborazione di OpenPolis sui numeri forniti da Ispra, ci sono 54 comuni italiani con una concentrazione di biossido di azoto superiore alla media giornaliera dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ossia 25 μg/m3.

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