Sull’ultimatum lanciato da Giorgia Meloni, secondo la quale se non si trova un accordo sulla premiership «non avrebbe senso» per il centrodestra andare al governo insieme, Silvio Berlusconi non vuole rispondere. «È un tema che non mi appassiona. Non mi sembra che a sinistra abbiano indicato alcun candidato…», dice al Corriere.
Il leader azzurro non entra nelle polemiche e anzi definisce gli alleati assolutamente all’altezza di approdare a Palazzo Chigi. Ma non vuole prendere impegni oggi su chi dovrà guidare un eventuale governo di centrodestra. «Io non riesco ad appassionarmi a questo problema, e non credo appassioni gli italiani. Agli italiani interessano le nostre proposte per uscire dalla crisi, per dare speranze ai giovani e sicurezza agli anziani, per ridurre le tasse e creare occupazione, per tagliare la burocrazia, per difendere l’ambiente. Del resto non mi pare che i nostri avversari abbiano indicato un candidato premier. Perché questa pressione su di noi?».
Berlusconi ci tiene però a precisare che «Giorgia Meloni sarebbe un premier autorevole, con credenziali democratiche ineccepibili, di un governo credibile in Europa e leale con l’Occidente. Allo stesso modo lo sarebbero Matteo Salvini, o un esponente di Forza Italia. Il centrodestra, espressione della maggioranza degli italiani, è una coalizione coesa e responsabile. Noi siamo garanzia del profilo liberale, cristiano, europeista, garantista, allineato con l’Occidente, del governo che costituiremo dopo il 25 settembre».
Ma anche Tajani, vicepresidente di Forza Italia, «è certamente una importante risorsa per Forza Italia, per la coalizione e per il Paese, alla luce della sua grande esperienza internazionale».
Ci sarà poi anche da dividersi i collegi: Meloni vuole ci si affidi ai sondaggi, gli altri partiti vorrebbero sostanzialmente che fossero assegnati in tre parti uguali. «Nessun problema, risolveremo queste questioni in un prossimo incontro. Il centrodestra è formato da tre grandi forze politiche, ognuna delle quali è indispensabile sul piano numerico per vincere e sul piano politico per governare», dice Berlusconi.
Ma in attesa del vertice di coalizione di domani a Montecitorio, Berlusconi ci tiene a guardare al futuro: «Torno in campo per dovere morale e civile verso il Paese che amo».
Intanto smentisce le ricostruzioni su una sorta di forzatura che avrebbe subito per negare alla fine la fiducia a Draghi. «La verità è quella che abbiamo detto decine di volte: noi avevamo chiesto che il governo Draghi – voluto da noi per primi – andasse avanti fino alla fine della legislatura, naturalmente senza i Cinque Stelle, che si erano posti fuori da soli», spiega. «Era la condizione per un rilancio dell’attività di governo che lo stesso Draghi aveva definito indispensabile. Tutto questo l’ho deciso io, dopo aver parlato con i nostri senatori e i nostri dirigenti, e l’ho spiegato in numerosi colloqui telefonici sia al Presidente della Repubblica che al presidente del Consiglio».
E sulla promessa della presidenza del Senato in cambio dello strappo con Draghi, risponde: «Io non ho bisogno di alcuna ricompensa. Ho avuto l’onore di guidare il mio Paese per dieci anni, sono la persona al mondo ad avere presieduto più volte il G7 e il G8, e nella vita ho realizzato qualcosa di significativo anche fuori dalla politica. Le pare che possa desiderare altro dalla vita pubblica? Naturalmente chi ha voluto indicarmi per la seconda carica dello Stato ha compiuto un atto di riguardo e di amicizia nei miei confronti che apprezzo particolarmente. Devo però aggiungere che non sono in alcun modo interessato a quel ruolo».
Intanto in pochi giorni alcune sue proposte, dalle pensioni agli alberi da piantare, sono già diventate l’emblema delle promesse elettorali. Berlusconi difende la sue posizioni: «Aumentare le pensioni agli italiani, portandole tutte almeno a 1.000 euro al mese, anche a chi non ha mai potuto pagare contributi, come le nostre mamme e le nostre nonne, o piantare un milione di alberi — ovviamente in aggiunta ai piani di piantumazione già in essere — non sono slogan, sono esempi concreti di risposte alle necessità del nostro Paese. Naturalmente il nostro è un programma ben più articolato che presenteremo più in dettaglio nel corso della campagna elettorale».
Ma prima del programma ci sono da risolvere le questioni interne alla coalizione. Il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani, tra una riunione e l’altra, spiega alla Stampa che sarà «la prima riunione per preparare la campagna elettorale. Parleremo dei temi, come le pensioni, che ha sollevato Berlusconi». E la leadership a chi spetta? «Non se ne deve parlare adesso, i leader troveranno una regola», risponde. «Bisogna aspettare le elezioni».
E anche lui dice: «Il tema non mi appassiona, la legge elettorale non lo impone e nelle altre elezioni non c’era un candidato unico. Ogni partito ha il suo. L’importante è avere un programma. Qui bisogna vincere, se troviamo un candidato premier, ma poi non vinciamo, resta solo un candidato. Delle regole si troveranno. Insistere su questo dibattito comporta un rischio». Ovvero «si rischia di oscurare i programmi e fare il gioco della sinistra che ci vuole divisi. Più che la leadership l’importante è avere una classe dirigente seria con esperienza in grado di governare il Paese. Serve una squadra, non un uomo o una donna sola al comando».
Nel programma comune del centrodestra ci saranno, annuncia, «riduzione della pressione fiscale, revisione del reddito di cittadinanza, pensioni, sicurezza e aiuto ai più deboli. Insisteremo molto sul potere d’acquisto dei lavoratori, dei pensionati e delle casalinghe».
Del Ppe che lo vuole premier, dice: «Non so niente. Non mi sono candidato a niente. Sono un militante che ha avuto tanto dalla vita. Io ho rinunciato alla buonuscita di mezzo milione di euro da commissario europeo, un lavoro ce l’avevo, cerco di essere coerente». E «forse dopo 30 anni di parlamento europeo, mi toccherà quello italiano. Ma non ho l’ambizione di avere i gradi»