Giudizio di rinvioIl caso Moretti e il giustizial-garantismo dei populisti

Nel processo di Firenze i nuovi giudici hanno dovuto rigidamente muoversi all’interno dei principi posti dalla Cassazione. Nessuno tra i commentatori lo ha spiegato ai lettori perché in Italia regna l’indifferenza verso la conoscenza profonda dei problemi. L’importante è gridare allo scandalo o esultare in base ai rispettivi assunti di partenza

LaPresse

La polemica intorno alla sentenza del processo di appello bis sulla strage di Viareggio è emblematica dell’attuale stato di abissale ignoranza in cui versa l’informazione giudiziaria del paese e di come questa condizione costituisca un serio problema di democrazia al pari del populismo di ogni colore.

Il verdetto di condanna dell’ex amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana (RFI) Mario Moretti e di altri 12 imputati condannati per disastro e incendio colposo ha suscitato la stessa ondata di polemiche provocate un anno e mezzo fa dalla sentenza della Corte di Cassazione che aveva annullato le prime sentenze di condanna inflitte agli stessi imputati nel primo processo.

L’unica differenza è che allora a lamentarsi fu la solita compagnia di giro assortita del giustizialismo manettaro italico che con in testa Marco Travaglio, Gian Carlo Caselli eccetera era insorta contro quello che veniva definito uno scandaloso insabbiamento, tra le scene di disperazione dei familiari delle vittime mentre oggi si strappa i capelli lo stesso pseudo-garantismo che allora plaudiva alla Cassazione.

In realtà avevano torto entrambi, ma a spiegarlo fu soltanto questo giornale di opinione che va riletto: la Cassazione non aveva assolto nessuno, ma aveva richiesto un nuovo giudizio per una serie di questioni tra cui stabilire se avesse valore o meno la rinuncia alla prescrizione pronunciata dall’imputato nel corso del primo giudizio 

La Corte aveva ritenuto ipotizzabile in via generale la responsabilità diretta dell’amministratore di una holding (Moretti per RFI) per le carenze dei controlli spettanti ai dirigenti delle società partecipate «qualora ricorrano specifici indici di ingerenza nelle attività delle controllate».

Il principio di diritto enunciato è pertanto, che anche l’amministratore delegato della holding è tenuto «a valutare i rischi ad essi connessi e ad assumere le iniziative necessarie per il rispetto della sicurezza dei lavoratori» (P. Brambilla: Disastro ferroviario di Viareggio, Le motivazioni della sentenza della Cassazione su Sistema Penale, 9 Novembre 2021).

Quello che si è svolto a Firenze, tecnicamente era un giudizio di rinvio cioè una valutazione processuale in cui i nuovi giudici dovevano muoversi rigidamente entro i paletti dei principi posti dalla Cassazione: per capire il possibile se non probabile esito odierno, bastava leggere, non dico la sentenza, ma almeno il comunicato che la stessa Corte di Cassazione aveva pubblicato subito dopo il verdetto esponendo sinteticamente le sue ragioni, al fine di spiegare la realtà, vanamente, alla pubblica opinione.

Una decisione assai discutibile e forse non pienamente condivisa da tutta la Corte, come lascia intuire la decisione diplomatica di annullare la vecchia decisione e di rinviare a un nuovo giudizio. 

Alla luce di ciò, si può legittimamente non concordare con un principio che pone seri problemi in tema di responsabilità dei vertici aziendali anche per le conseguenze di condotte dei dipendenti più lontani. Non si discute di questo, ma è da ipocriti che i commentatori, garantisti e giustizialisti, gridino allo scandalo o esultino, oggi, per una decisione che è esattamente la diretta conseguenza di quella che gli uni avevano esaltato e gli altri esecrato, a campi invertiti, un anno e mezzo fa.

Il problema vero, al di là del singolo caso, sono le ragioni di questo capovolgimento dei commenti e delle posizioni della stampa.

Sicuramente il profilo più importante, non ci si può stancare di ripeterlo, è l’ignoranza dei fondamentali tecnici da parte dei commentatori incapaci di distinguere, tranne poche eccezioni, un processo reale da una puntata di un serial modello “Lolita Lobosco”.

Il problema sarebbe dei giornali ma i guasti provocati da un tale atteggiamento sono pubblici. Non si tratta di una casualità, va detto, ma del simmetrico contraltare al medesimo atteggiamento sub-culturale che ha originato il populismo politico: l’indifferenza verso la conoscenza profonda dei problemi.

Si origina così per pigrizia e calcolo una sorta di ondata che potremmo definire giustizial-garantista di stampo populista del tutto indifferente alla realtà dei processi e dei problemi giuridici e che si nutre solo di pregiudizio per cui una condanna o una assoluzione sono comunque errori che dimostrano unicamente i rispettivi assunti di partenza: il mondo è pieno di ladri a piede libero o di vittime di errori giudiziari.

Alla base c’è il rischio della delegittimazione delle istituzioni democratiche: i palazzi di giustizia come quelli del potere politico. Un’equazione pericolosa e, come per il populismo politico, parafrasando Draghi, l’unico rimedio è la spiegazione della realtà e la soluzione reale dei problemi da chi ha la competenza per farlo.

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