Le coalizioni sono fuori controllo, hanno perso le coordinate necessarie per governare oggi e in futuro. Insomma, al di là di come finirà l’assurda tensione in queste ore, le coalizioni come le abbiamo conosciute non esistono più. Questo vale sia per il centrodestra, sempre più a trazione sovranista, che per il centrosinistra, diventato una sorta di ectoplasma. Non ha neanche un nome, è ridotto al Pd più vari ed eventuali alleati.
Non votando la fiducia al decreto Aiuti, quel che rimane dei 5 Stelle si brucerebbe i ponti alle spalle e costringerebbe Draghi a buttare la spugna. Il presidente del Consiglio non è disposto a continuare con la pantomima degli ultimatum, anche di quelli della Lega. Questo è il suo avvertimento, che però dovrà resistere alle intenzioni del Quirinale di tenerlo comunque a Palazzo Chigi perché ci sarebbero i numeri in Parlamento per andare avanti.
È in gioco molto di più dei nostri destini nazionali. È un momento drammatico, francamente sconfortante, con tutto ciò che ne conseguirebbe per la nostra reputazione continentale, per le ripercussioni sulla realizzazione del Pnrr, per l’uso dei miliardi che Bruxelles ci ha affidato. E noi, ancora una volta, deragliamo, aggiungendo crisi a crisi (Francia e Gran Bretagna), per la goduria di Vladimir Putin. E dei “frugali” del nord Europa.
La carica distruttiva del M5S, il cui Dna è incancellabile, ha desertificato come un diserbante il campo largo. Enrico Letta non potrà più fare affidamento su questa forza irresponsabile per la sfida elettorale, che a questo punto potrebbe essere ravvicinata e non più rinviata al 2023. Per anni i Dem sono rimasti prigionieri di un’illusione, quella di potere fare dei grillini lo sparring partner di una coalizione modello Ulivo. O meglio, modello Unione, accròcco confuso, un’accozzaglia politica eterogenea. Ora Letta dovrà svegliarsi da questo incantesimo e guardare oltre le sbarre della prigione. Ha poco per rincuorarsi, perché lì fuori c’è un accampamento litigioso. In eredità di quel movimento che voleva aprire il Parlamento come una scatoletta gli rimane solo Luigi Di Maio. Una sorta di dannazione che non è facile scrollarsi di dosso.
Va meglio dall’altra parte? Non possono fare salti di gioia. È inutile ripetere quanto devastante sia la crescita impetuosa nei consensi di Giorgia Meloni ai danni di Matteo Salvini, e che guerra fratricida sarebbe l’assegnazione dei collegi uninominali se dovesse rimanere il sistema elettorale attuale. Con quali percentuali verranno assegnati ai singoli partiti? Con quelli ormai strasuperati del 2018 oppure sulla base dei sondaggi o dei risultati disomogenei delle amministrative?
Anche il centrodestra, allora, è diventato una prigione. Lo è anche per Silvio Berlusconi, che vorrebbe continuare l’esperienza Draghi anche se i 5 Stelle dovessero astenersi sulla fiducia al dl Aiuti. Salvini invece è del parere opposto: ha chiesto elezioni subito, allineandosi alla Meloni e facendo incazzare i governatori Luca Zaia e Massimiliano Fedriga. Il Cavaliere vorrebbe posticipare alla fine della legislatura, anzi a dopo il voto delle Politiche, il redde rationem con Fratelli d’Italia. Continua a ripetere (lo ha fatto anche nell’ultima intervista alla Stampa) che la questione della premiership è prematura. E tanti saluti alla Meloni, la quale potrebbe impuntarsi e mandare tutti a quel Paese. L’odore di potere magari farà miracoli e troveranno una soluzione, ma nulla è scontato. Todos caballeros, si sarebbe detto una volta. Rimane il fatto che lei non si fida degli alleati, vista l’esperienza governativa di questi anni: prima il governo gialloverde, poi l’unità nazionale e lei sempre all’opposizione fino a diventare il primo partito italiano.
Coalizioni prigioni, camice di forza da sciogliere con il proporzionale. Ma in questo momento un sistema elettorale liberi tutti converrebbe di più ai prigionieri di sinistra che con il Rosatellum rischiano una cocente sconfitta. Ma anche Salvini e Berlusconi due conti dovrebbero farseli. Magari ci sarà un colpo di scena, che Meloni tratta con Letta le condizioni migliori, in premio di maggioranza a sua misura. Come le suggerisce Ignazio La Russa. Una cosa è certa: la politica italiana sta vivendo in una terra desolata, con la siccità di idee e di coraggio.