La scuola è ormai finita da un po’. Che sia stato l’8 o il 10 di giugno, a seconda della latitudine, per i genitori questo ha un unico e solo significato: l’inizio dei campi estivi, un’apocalittica maratona che da aprile a maggio tormenta la stragrande maggioranza di mamme e papà. Ecco, selezionata la struttura, fatta l’iscrizione, spediti i bambini in settimana santa (leggasi al mare con i nonni), è giunta l’ora di cominciare. Ma al sollievo iniziale di sapere che i piccoletti saranno guardati a vista per le settimane a venire, l’entità Genitore si trova ad affrontare innumerevoli variabili che vanno dalla logistica – chi lo porta, chi lo recupera? – all’abbigliamento, fino a borracce e deleghe (mica il nonno può ritirare il nipote in libertà, serve anche la fotocopia della carta d’identità e la firma genitoriale) – con un problema solitamente sottovalutato: il pranzo.
Già perché una volta ben posizionati i bambini in centri estivi, grest, specializzati multisport, campus di inglese e mandarino, si apre la valutazione su “mensa sì-mensa no”, scelta che pesa notevolmente sulle tasche dei genitori (si parla di un range di prezzo che, per settimana, oscilla fra i 30 e i 50 euro) e di fronte alla quale la maggior parte dei più temerari opziona il famigerato “pranzo al sacco”. Scordiamoci però le allegre scampagnate su tovaglie a quadri e panini imbottiti, l’ombra delle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità incombe e vigila sull’alimentazione dei bambini, che necessitano di una dieta bilanciata con tanto di tabelle caloriche e alternanze basate sulla piramide alimentare.
Lunedì panino, ci sta, martedì polpette, pane e insalata. Sì, ok, ma mica si può condire il lattughino alla mattina, che appassisce, dunque “dove metto l’olio?”. Ovvio, in contenitore ermetico. Ma a prova di bambino ovvero sufficientemente facile da aprire, ma non troppo, per evitare di ritrovarsi sostanze oleose fin sopra ai capelli. Ci va aggiunto pure il sale, orsù, insieme: l’olio salato non è più nemmeno una novità!
“Amore, guarda, è buonissimo”.
E così – prima di affrontare il mercoledì/giovedì/venerdì – si fa chiara l’idea di dover, di necessità, acquistare una gavetta/schiscetta/porta-pranzo che dir si voglia, oggetto di studi che nemmeno la Nasa nella progettazione degli Shuttle.
Dunque: quanti scomparti sono necessari? Di che materiale – va in frigo? va al microonde? – ah no, il microonde non c’è, quindi va bene in metallo, ah no in plastica – ma prende odore – e se fosse in legno di bambù? Serve la borsa termica?
Ebbene, acquisto fatto, la maratona del pranzo al sacco si misura con il livello successivo: l’operazione di apertura, smontaggio e montaggio del lunch box, soprattutto da parte dei più piccoli. Quindi è tutto un allenamento di smonta-monta al suono della marcia dei Marines di Full Metal Jacket dove i giovani virgulti devono imparare a rimettere insieme il tutto con precisione marziale, senza rovesciare/rompere (che costa)/sporcare, soprattutto sé stessi.
Ma dove eravamo rimasti? Al pranzo, giusto. Dicevamo, mercoledì pasta, al pesto, un classicone che va bene anche freddo, il giovedì, panini, di nuovo, o magari pizza, che i carboidrati non hanno mai fatto male a nessuno. E il venerdì? Digiuno. In fondo lo dice anche il Signore.