L’alleanza strategica gialloverdeIl revenge porn dei bipopulisti (e la responsabilità del Pd)

Il governo Draghi è stato battuto dai demagoghi e dai sovranisti, tornati insieme dopo che avevano già governato all’inizio della legislatura. La convergenza tra partiti eversivi e antioccidentali era ovvia, soltanto i dirigenti del Partito democratico non l’avevano capita. Così come è finita la farsa di una Lega seria e di governo rispetto a quella cialtrona di Salvini, e con essa il miraggio di Forza Italia come partito repubblicano

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La legislatura cominciata con l’alleanza gialloverde termina con una ritrovata convergenza tra Cinquestelle e Lega per far cadere il governo di Mario Draghi che li aveva neutralizzati per oltre un anno. Siamo ai confini del revenge porn, una vendetta orchestrata dagli uni, i mandanti, e dagli altri, gli esecutori.

Cinquestelle e Lega non hanno avuto nemmeno il coraggio di votare no alla fiducia al governo di cui facevano parte, per non assumersi la responsabilità del Draghicidio. Da perfetti pusillanimi hanno scelto di non votare o di non partecipare al voto.

La giornata si è incanalata subito sui canoni della tragicommedia all’italiana con il fine corsa di Draghi annunciato da un leghista brianzolo noto alle cronache per aver presentato in Lombardia una mozione favorevole al riconoscimento della Crimea, quando la penisola ucraina fu occupata illegalmente dai fascisti del Cremlino con cui, in effetti, la Lega dell’analfabeta democratico di cui sopra aveva firmato un osceno patto politico formale a Mosca.

La fine del governo Draghi è la rivincita del bipopulismo perfetto italiano e bieloitaliano nei confronti di chi ha salvato il paese dalle emergenze pandemiche ed economiche cui avevano contribuito a bello cuore sia i Cinquestelle sia i leghisti grazie alla loro immensa inadeguatezza e incompetenza e alle loro maldestre politiche economiche, sociali, energetiche e di sicurezza nazionale.

Sovranisti e demagoghi, anticapitalisti e antioccidentali, no vax e negazionisti del Covid, filo russi e antiamericani, filo cinesi e filo trumpiani , insomma i populisti, si trovano sia a destra sia sinistra, in Italia e non solo in Italia, e gli uni e gli altri sono alleati naturali.

Soltanto quei baluba del Partito democratico hanno potuto pensare che fosse possibile separare ciò che separabile non è, con le conseguenze geometricamente confermate ieri al Senato. Alcuni dei dirigenti del Pd lo hanno fatto per convinzione ideologica o per fare un dispetto a Renzi o a Calenda, altri perché si sono improvvisati apprendisti stregoni, ma quasi tutti perché sono proprio inguaribili fessi, non c’è modo di definirli più esattamente su un giornale come il nostro che, da solo, ha cercato nel suo piccolo di avvertirli quotidianamente, direi ossessivamente, per tre anni. 

Si andrà al voto, dunque, con qualche mese di anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura e, a causa della complicità di Zingaretti e di Letta, ci si andrà senza una strategia sensata del fronte repubblicano e costituzionale in grado di respingere le forze eversive, anti italiane e anti occidentali. 

Naruralmente pagheremo cara questa sceneggiata di Conte e Salvini e, fidatevi di chi ha avvertito per tempo dell’inaffidabilità dei Cinquestelle, non c’è da credere nemmeno per un secondo al sedicente neo atlantismo di Giorgia Meloni, pur apprezzando il suo attuale posizionamento anti russo, non solo perché gli alleati in Europa dei Fratelli d’Italia sono Viktor Orbàn e altri allegri fascistoni, ma anche perché Meloni è decisamente più trumpiana che atlantista e Donald Trump è il farabutto che ha tentato il colpo di Stato in America e che è stato eletto anche grazie all’ingerenza della Russia nel processo democratico americano.

La fine della legislatura più scombinata della storia repubblicana segnala anche un’altra bufala cui, di nuovo, siamo stati gli unici a non diffondere nemmeno per sbaglio e nemmeno per un momento, ovvero quella dell’esistenza di una fantomatica Lega di governo, seria e responsabile rispetto a quella cialtrona di Salvini.

Così come è svanita definitivamente ogni possibilità di considerare Forza Italia un partito anche solo vagamente liberaldemocratico e occidentale, quando invece è solo un’agenzia interinale guidata da Licia Ronzulli per il collocamento di una manciata di deputati nelle liste salviniane.

Bene che Mariastella Gelmini abbia lasciato il partito, ma una certa responsabilità della fine ingloriosa dei berlusconiani ce l’hanno anche i tre ministri di Forza Italia, i quali si sono dimostrati incapaci di costruire un percorso di minima decenza repubblicana per il partito che per due decenni è stata la casa dei moderati italiani. 

A Mosca ovviamente brindano per il rientro degli investimenti del passato e per le prospettive future in un’Europa che perde il leader più carismatico del continente contro le autocrazie illiberali.

Alle forze repubblicane e costituzionali, europee e occidentali, resta soltanto la strada stretta di un’alternativa radicale al bipopulismo italiano e bieloitaliano, da percorrere insieme con le persone serie del Pd, con i liberal, i liberali e i socialisti liberali e anche con il senatore Andrea Cangini di Forza Italia che ieri si è sottratto all’imbarazzo di seguire la scelta del suo partito.

Il progetto è l’area Draghi, la visione è l’agenda Draghi, l’indicazione politica in caso di nuovo miracolo italiano nelle urne è Mario Draghi. Ma senza trucchi, senza compromessi, senza pasticci.

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