L’ottima notizia dell’ammissione della Svezia e della Finlandia nella NATO, ritirato il veto della Turchia, si accompagna a una notizia tutt’altro che buona, soprattutto per gli interessi nazionali e strategici dell’Italia. Tayyp Erdogan infatti intende usare lo straordinario successo diplomatico sulla scena internazionale derivante dal suo ruolo di mediatore tra Ucraina e Russia e oggi dall’avere imposto le sue pretese a Stoccolma e Helsinki, che hanno accettato i diktat turchi, incluse le estradizioni dei militanti del Pkk-Pyd e la fine del loro embargo sulla fornitura di armi ad Ankara, per sviluppare una politica di aggressione contro la Grecia.
Aggressione sino a oggi verbale – con parole sprezzanti si è rifiutato persino di incontrare a Madrid il premier greco Kyriakos Mitsotakis – che scivola ogni giorno che passa sul versante inclinato di una escalation di provocazioni diplomatiche ma anche militari nei confronti di Atene. Tayyp Erdogan è stato esplicito il 9 giugno scorso: «Avvertiamo la Grecia di essere prudente, di non coltivare sogni, retorica e azioni che, la porterebbero a risultati che rimpiangerà, come è successo un secolo fa». Riferimento esplicito e minaccioso alla rovinosa sconfitta delle armate greche nel 1922 a opera dell’esercito turco di Kemal Atatürk.
Non è un caso che sempre più spesso l’aviazione turca violi provocatoriamente lo spazio aereo greco sulle isole dell’Egeo.
L’Italia da parte sua è direttamente coinvolta in questo contenzioso turco-greco – ma Luigi di Maio, in altre e minime faccende affaccendato, continua imperterrito a ignorare il dossier fondamentale per il nostro paese – perché il suo fulcro, il vero oggetto del contendere, riguarda gli immensi e nuovi campi metaniferi di Cipro e del Mediterraneo Orientale, nelle cui prospezioni e sfruttamento è direttamente coinvolta l’Eni.
Campi metaniferi di rilevanza strategica per il nostro paese perché da essi possono provenire sino a 20-30 miliardi di metri cubi di metano l’anno, indispensabili per sostituire il gas importato dalla Russia. Di questi, 10-20 miliardi di metri cubi potranno essere trasportati direttamente sulle coste della Puglia dal progettato metanodotto East Med che dovrà partire da Israele e passare appunto per Cipro, Creta e la Grecia, ma che è duramente avversato da Tayyp Erdogan che sostiene arbitrariamente e surrettiziamente che esso violi la Zona Economica Esclusiva della Turchia che si dispiegherebbe dalle coste dell’Anatolia sino a quelle della Libia.
Dunque un contenzioso cruciale per l’Italia che – se solo avesse un ministro degli Esteri – dovrebbe oggi intensificare al massimo i suoi rapporti con Atene, anche dal punto di vista militare e del dispiegamento della nostra flotta nell’Egeo.
Un contenzioso del quale, come al solito, dovrà occuparsi direttamente Mario Draghi, supplendo all’assenza di iniziativa di Luigi Di Maio, nel suo imminente viaggio ad Ankara. Un viaggio all’insegna dell’ icastica definizione dello stesso Draghi: «Erdogan è un dittatore… col quale bisogna trattare».
Viaggio che si svolgerà nello scabroso contesto di una scena internazionale che vede appunto un dittatore turco, feroce repressore dei principi democratici sul piano interno, propugnatore di un Islam ottomano volutamente alternativo ai valori dell’Occidente, sapere comunque svolgere, unico, una mediazione sulla più grave crisi in atto: la guerra russo-ucraina. Una contraddizione non piccola e un grave segnale di crisi del proprio sistema di relazioni internazionali alla quale l’Occidente dovrà porre rimedio.
In queste ultime settimane, dunque, le provocazioni anti greche della Turchia si sono concentrate sulle isole greche dell’Egeo, in particolare su Kastellorizo, Kalymnos,, Kos, Rodi, Symi, Chios e Samotracia continuamente sorvolate dall’aviazione e da droni turchi, mentre navi militari turche ne violano le acque territoriali. Tutti elementi che lasciano intendere che Tayyp Erdogan possa questa estate replicare le provocazioni del 2020 quando la Francia, legata da intensi rapporti con Atene, dovette addirittura inviare una piccola flotta nell’Egeo per fiancheggiare quella greca e rispondere alle provocazioni dirette e minacciose della flotta turca.
Di fatto, oggi Erdogan, a un anno dalle elezioni legislative e presidenziali, indebolito sul fronte interno da una crisi economica devastante – l’inflazione è al 74,7 per cento – oltre a aumentare il proprio prestigio internazionale grazie alla mediazione tra Kyjiv e Mosca che pare possa portare risultati concreti quanto alla fine del blocco dell’esportazione del grano ucraino, sta sviluppando un’inedita politica di appeasement con i suoi più accesi avversari regionali.
Ha ripreso i contatti con Israele e soprattutto con l’Arabia Saudita, ricevendo con tutti gli onori a Ankara quello stesso Mohammed bin Salman che pure aveva indirettamente accusato nel 2018 di essere il mandante dell’assassinio del dissidente Saudita Jamal Khasshogi, contribuendo al suo isolamento internazionale. Lo stesso Joe Biden, sulla base delle contestazioni turche aveva definito Mohammed bin Salman “un paria”, salvo accingersi ora ad abbracciarlo a Ryad per tentare di convincerlo ad abbassare la quotazione del petrolio.
Appeasement di Erdogan con tutti i suoi avversari (incluso l’egiziano Abdel Fattah al Sisi), ma non con la Grecia con la quale si accinge a intensificare il braccio di ferro sulla fondamentale partita energetica. Uno scenario allarmante così descritto giorni fa dal ministro degli Esteri greco Nikos Dendias: «Ankara costituisce una minaccia per la pace e la sicurezza nazionale».