Le donne in Italia guadagnano in media il 6,2% in meno rispetto agli uomini. Lo riportano i dati ISTAT pubblicati nel 2021, ma riferiti al 2018, evidenziando che il gender pay gap raggiunge picchi del 15,9% nel settore dei servizi. Secondo il Global Gender Gap Report 2021 l’Italia, analizzando la partecipazione economica e le pari opportunità, si trova al 114esimo posto su 156 Paesi al mondo.
Ma tentativi di invertire la tendenza ci sono. La parità di opportunità tra donne e uomini nello sviluppo economico rappresenta il quinto obiettivo dell’Agenda 2030 e, per raggiungerlo, si stanno mettendo in campo alcune strategie concrete e verificabili. La più recente, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale l’1 luglio 2022, è la certificazione della parità di genere nelle aziende. L’obiettivo, che si riferisce al progetto del PNRR “Sistema di certificazione della parità di genere”, è quello di incentivare le imprese ad adottare policy volte alla riduzione del gender gap in relazione alle opportunità di crescita dell’azienda, alla gestione delle differenze di genere, alla parità salariale a equivalenza di mansioni e alla tutela della maternità.
«Le aziende con almeno 50 dipendenti dovranno presentare un rapporto annuale sulla situazione del personale maschile e femminile», afferma la partner e managing director di Consulnet Italia Monica Mazzucchelli. La norma «fissa dei KPI (Key Performance Indicator) e individua sei aree di indicatori: cultura e strategia, governance, processi HR (risorse umane), opportunità di crescita in azienda neutrali per genere, equità remunerativa per genere e, infine, tutela della genitorialità e conciliazione lavoro-vita», aggiunge Rita Santaniello, avvocata e partner Rödl & Partner. Agli indicatori vengono attribuiti dei punteggi e, per ottenere la certificazione, è necessario conseguire almeno 60 punti su 100 in ciascuna area.
Per coloro che includono i temi della diversity all’interno della propria cultura lavorativa è sicuramente più immediato ottenere la certificazione. Così è stato per LCA Studio Legale, il primo studio legale in Italia ad averla conseguita. «Tante prassi di studio però non erano formalizzate. Il percorso di certificazione ci ha indotto a dare ordine e a trasformare le nostre politiche in policy e processi scritti e, quindi, tali da garantire un maggior grado di certezza e trasparenza» ha affermato Barbara de Muro, equity partner di LCA e responsabile della sezione AslaWomen di ASLA – Associazione Studi Legali Associati. Il conseguimento della certificazione non rappresenta solo un percorso simbolico perché «se ben fatto, è un’occasione unica di riflessione su tante dinamiche interne alla propria realtà professionale. Inoltre, su un piano più generale, un sistema di aziende ed enti certificati contribuisce a far emergere le prassi virtuose ed è un potentissimo strumento di innovazione sociale» ha aggiunto l’avvocata de Muro.
Ottenendo questa certificazione le aziende potranno beneficiare di sgravi contributivi pari all’1% fino a un tetto massimo di 50mila euro. Inoltre, potranno acquisire un punteggio premiale per l’accesso a finanziamenti o all’assegnamento di appalti pubblici. Colmare il gender gap è quindi in tutti i sensi anche una questione economica.
La prima azienda in Italia ad aver ottenuto questo riconoscimento è Cellnex Italia, principale operatore indipendente di infrastrutture per telecomunicazioni wireless sul territorio statale. Cellnex ha messo in atto una serie di innovazioni per raggiungere la parità di genere, ad esempio introducendo un percorso di formazione manageriale dedicato alle donne, che ha incrementato la componente femminile nel management team, portandola al 50%. È stata inoltre adottata una politica per il supporto alla genitorialità, dando la possibilità anche agli uomini di essere presenti nella cura della famiglia.
Il percorso di miglioramento di Cellnex è iniziato sette anni fa, nel 2015, e ha portato l’azienda a ottenere a giugno 2021 la certificazione EASI (Ecosistema Aziendale Sostenibile Integrato), sviluppata da Sircle S.r.l, società di Rödl & Partner e Consulnet Italia. Si tratta del primo modello di governance per la sostenibilità che integra norme, standard e linee guida per garantire la conformità ai principi di sostenibilità ESG (Environmental, Social and Governance). Nel processo per il raggiungimento della certificazione sono previsti una serie di passi che partono dall’assessment e gap analysis e arrivano alla conversione delle strategie in azioni concrete. Ma non si tratta di una lista con determinati valori-soglia entro cui rientrare, «essendo un sistema di governance – spiega Rita Santaniello – non ti dice quanta CO2 devi emettere o quante donne devi assumere, ma ti fornisce gli strumenti di governo di queste politiche e, in seguito, ti permette di farle verificare e certificare».
Fare sostenibilità d’impresa, secondo Monica Mazzucchelli, significa «trovare un equilibrio che garantisca la sostenibilità economica nel rispetto delle persone e del pianeta, comportando un benessere generale». La sostenibilità d’impresa è strettamente collegata al concetto di sviluppo sostenibile. Si tratta di un cambiamento culturale che, sulla scia dell’Agenda 2030 e degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, spinge le aziende ad ampliare lo sguardo, ragionando in una prospettiva di lungo periodo. L’obiettivo è fare impresa sulla base dei valori della salvaguardia ambientale, sradicamento delle disuguaglianze sociali e di genere, lotta alla povertà e, in generale, miglioramento degli standard di vita.
«La sostenibilità non è un costo, anche se spesso si pensa il contrario. Un’impresa sostenibile è più performante e resiliente, investire in sostenibilità d’impresa porta sempre innovazione», ha affermato Santaniello. La sostenibilità aziendale rappresenta un investimento a lungo termine che però è possibile solo modificando la visione di azione. Lavorare guardando al futuro e utilizzando il pensiero laterale è la chiave per approcciarsi al cambiamento in modo proficuo. Allora il benessere delle persone e del pianeta sarà davvero al centro.