Fuori schemaIl giovane regista che trasforma la luce in emozione: alla scoperta di Luigi Benvisto

All’esordio in regia, ma già direttore della fotografia, Luigi crea immagini “uditive” dove un difetto, una parziale sordità, diventa un veicolo per trasmettere un messaggio fatto di unicità nella diversità

Luigi Benvisto, 40 anni – nato e cresciuto a Varese – si descrive come un ottimista cronico nonostante conviva con un problema all’udito fin dall’età di sei anni. All’esordio come regista, dopo aver lavorato per ben dieci anni negli Stati Uniti ed essersi guadagnato un posto nel prestigioso circolo per i registi e creativi Asc, American society of cinematographers, ha trasformato quello che in apparenza (ma anche in sostanza) è un difetto uditivo in una sua speciale alchimia magica tra luce, spazio e suono.

Come hai vissuto l’atmosfera del set e la convivenza con la troupe?
«Il fatto di essere praticamente sordo da un orecchio mi ha disorientato inizialmente. Quando ero piccolo non poter dialogare con i miei coetanei liberamente è stato un fattore di stress, ma crescendo ho dovuto aumentare la mia attenzione visiva e trovare le mie chiavi di comunicazione. Ad esempio, molto spesso mi capita di gesticolare mentre mi trovo sul set. Ho scoperto sempre più strumenti in grado di trasformare ogni immagine in veicolo di emozioni e messaggi. Oggi posso dire di avere una capacità fuori dall’ordinario: so riconoscere il modo in cui la luce si presenta e come si diffonde all’interno di uno spazio. Questa è una delle capacità preziose per uno con le mie ambizioni e con la mia stessa idea di cinema»

La Borsa Di Studio Bernardo Bertolucci e l’ingresso nella Asc sono stati due traguardi importanti. Qual è il prossimo obiettivo?
«Non avendo avuto una famiglia che potesse pagare la quota d’iscrizione presso un istituto oltreoceano, la borsa di studio ha garantito l’opportunità di partire e studiare un anno alla New York Film Academy, dove ho imparato davvero tanto. Per diventare membro dell’Asc, bisogna essere invitati personalmente. Il comitato gestisce migliaia di richiesta di ammissione. Quest’anno sono impegnato nel vision mentorship program. Ciò che mi rende orgoglioso è che mi è stato assegnato un mentore speciale, Michael Slovis, il direttore alla fotografia di Breaking Bad, che ha diretto la serie New Amsterdam insieme ad altri film. Ora sto lavorando su un progetto tutto mio, ossia un film che sto girando a Malta, all’interno di una villa incredibile, con una storia di più di trecento anni». 

Quanto Luigi c’è dentro questo nuovo film? E qual è l’idea da cui nasce?
«C’è tanto cuore, ma c’è anche tanto drama, come si usa dire in America. Per questo mi sembra giusto dire che è un progetto che parte dalla ricerca delle emozioni, dall’intento suscitare nello spettatore un sentimento imprevedibile. E poi contiene anche un pezzo di me, ovviamente. Nello specifico, ogni personaggio ha una sorta di “oggettino”, una fissa, un tic che lo contraddistingue, come nel mio caso potrebbe essere la sordità. Questa particolarità è ciò che li rende unici.

Scatto sul set a Malta

La trama del mio film si basa sul concetto di rapidità e si rifa alla nota “bomb theory” di Alfred Hitchcock. Supponiamo che sotto il tavolo che ci separa ci sia una bomba. Non succede nulla e poi, all’improvviso, “Boom!”. C’è un’esplosione. Il pubblico è sorpreso, ma prima di questa sorpresa ha assistito a una scena di una conversazione ordinaria. In questo caso si tratta di quindici secondi di sorpresa. Grazie alla suspance, la stessa innocua conversazione diventa affascinante. Il modo in cui s’intrecciano gli eventi cambia. Questa volta la bomba è sotto il tavolo e il pubblico lo sa, probabilmente perché ha visto l’anarchico posizionarla. Il film è architettato secondo lo stesso stratagemma, in cui i personaggi si dividono tra quelli che sanno dell’accaduto e quelli che invece ne sono ignari».

Un regista o direttore della fotografia che ammiri particolarmente?
«Se dovessi scegliere un regista che apprezzo moltissimo, sceglierei Sergio Leone. Adoro il suo modo di comporre la scena e non aver paura di essere vicino e di essere sporco. Mi ha sempre affascinato la sua poetica vera, reale e allo stesso tempo teatrale. Mentre un direttore della fotografia che mi ha ispirato è sicuramente Roger Deakins. È un maestro per me. Grazie alla sua fotografia minimalista sottrae il buio e mette la luce dove serve, e non lavora nel senso opposto come in troppi fanno, erroneamente. Creare l’immagine usando il minimo indispensabile della luce è la chiave per una fotografia efficace ed evocativa. Ci sto lavorando».