Lost in translationLa protesta degli interpreti al Parlamento europeo

È in corso uno sciopero a oltranza contro le condizioni di lavoro: gli interventi da remoto senza le giuste attrezzature procurerebbero danni all’udito

Credits Parlamento Europeo

Quando prende la parola qualcuno collegato in videoconferenza, l’interprete si toglie le cuffie e l’intervento può essere ascoltato dagli altri partecipanti soltanto in lingua originale. Un problema per il Parlamento europeo, dove i discorsi vengono solitamente tradotti nelle 24 lingue ufficiali dell’Unione europea. Ma gli interpreti che lavorano all’Eurocamera hanno inscenato questa forma particolare di sciopero nelle settimane prima della pausa estiva e, se non otterranno cambiamenti, la replicheranno alla ripresa dei lavori a settembre.

Problemi all’udito
«Da due anni ci massacriamo le orecchie», dice a Linkiesta Frédéric Girad, rappresentante dell’Association International des Interprètes de Conférence (Aiic): l’associazione cura i diritti dei lavoratori freelance, che costituiscono circa la metà della forza lavoro dell’Eurocamera.

Con l’amministrazione del Parlamento hanno siglato un accordo che li equipara agli interpreti assunti dalle istituzioni: stesso lavoro, stessi orari, stesse retribuzioni, pur con un inquadramento contrattuale differente.

Le due categorie condividono anche la battaglia contro gli interventi a distanza, sdoganati nel periodo in cui la pandemia da Covid-19 non consentiva dibattiti presenziali in Parlamento.

Gli interpreti in realtà hanno sempre continuato a lavorare fisicamente nell’emiciclo, pur in cabine singole e con tutte le precauzioni del caso. Le parole da interpretare in altre lingue, però, arrivavano dall’esterno: tramite la piattaforma Interactio eurodeputati ed esperti si connettevano sempre da casa o dai rispettivi uffici durante il picco pandemico e, in parte, lo fanno ancora adesso.

«Il protocollo sviluppato dagli ingegneri informatici identifica la propagazione della voce umana su una frequenza intorno ai 4mila hertz: il sistema di trasmissione progettato per gli interventi da remoto dunque elimina tutte le altre e comprime il suono, che arriva con grande pressione nelle nostre cuffie», spiega Girad.

Ne conseguono danni significativi. Nel 2021, circa il 40% degli interpreti ha lamentato problemi all’udito in un’indagine del servizio medico dell’Eurocamera. Un’altra inchiesta di settore, effettuata da un’università belga e citata dall’Aicc, evidenzia disturbi per due terzi del campione, composto da professionisti impegnati in interpretazioni a distanza, non solo al Parlamento.

«Ho sofferto di perdita dell’udito e acufene (un disturbo che provoca un ronzio nell’orecchio): problemi che sono peggiorati anno dopo anno dal 2020, come confermano test specialistici», dice a Linkiesta un’interprete che preferisce rimanere anonima.

Come molti colleghi, ha cercato di proteggere le sue orecchie al meglio, evitando posti rumorosi nel tempo libero o auricolari invasivi e arrivando perfino ad ascoltare dei concerti con i tappi. Una serie di precauzioni adottate a causa dello stress maggiore a cui è stato sottoposto il suo udito.

Nell’interpretazione da remoto, racconta, vengono rimosse le frequenze più alte e quelle più basse: cosa che aiuta la comprensione, ma affatica di più l’orecchio, provandolo di momenti di riposo. «In più manca il linguaggio non-verbale del parlante, che faciliterebbe il nostro compito».

L’amministrazione del Parlamento europeo si difende sostenendo in una nota consegnata a Linkiesta che la piattaforma Interactio rispetta gli standard qualitativi ISO2019, che è stata elaborata una serie di linee-guida per gli interventi da remoto e che si «prendono in seria considerazione le preoccupazioni degli interpreti», invitati per l’appunto a test specifici per l’udito seguiti da consulto medico quando necessario.

Soluzioni inascoltate
Le difficoltà nella nuova modalità di lavoro erano chiare fin da subito e per compensare la fatica delle interpretazioni da remoto, durante la pandemia l’orario fu ridotto a 15 ore settimanali. Ma il 13 giugno l’amministrazione del Parlamento ha imposto il ritorno ai turni normali: 28 ore in cabina, durante le quali alcuni partecipanti intervengono da remoto. La quota varia a seconda delle giornate e delle diverse commissioni parlamentari. L’amministrazione la stima ora intorno al 7%, ma l’Aicc prevede che gli interventi in connessione aumenteranno fino al 60%-70% del totale in futuro.

Per ovviare al problema, gli interpreti hanno cominciato a cercare strumenti alternativi, individuando un kit di connessione dal costo di cento euro circa che avrebbe «pulito» il suono. Il Parlamento ne ha acquistati centinaia – sostiene Girad – ma chi li ha ricevuti spesso non li utilizza.

«Molti vogliono collegarsi con il loro iPad o telefonino, utilizzando i normali auricolari». Una tendenza diffusa tra gli eurodeputati, ma ancor di più fra gli accademici che intervengono nei dibattiti delle commissioni parlamentari, dice il sindacalista. «Si tratta di persone che partecipano regolarmente alle sessioni, non è possibile che non si adeguino».

Al di là dei comportamenti individuali, però, gli interpreti criticano il comportamento dell’amministrazione, che nelle settimane dello sciopero ha contrattato in outsourcing una squadra di colleghi non accreditati per lavorare al Parlamento e meno retribuiti. Questi ultimi hanno lavorato solo in poche sessioni, ma il messaggio è chiaro per Frédéric Girad, che parla di «tentativi di uberizzazione». «Si tratta di una provocazione: alla nostra protesta rispondono prendendo in ostaggio il dialogo sociale».

Il negoziato finora non ha prodotto risultati: gli interpreti non accettano che «il ritorno alla normalità» post-pandemica includa ancora interventi da remoto, senza però prevedere le modifiche di orario applicate durante il periodo «eccezionale» per ridurre l’esposizione.

Il nodo della questione riguarda la piattaforma Interactio, che per i lavoratori è a tutti gli effetti un «sistema di interpretazione simultanea a distanza» e quindi impone condizioni di lavoro diverse da quelle tradizionali. La linea dell’amministrazione è invece quella di non considerarla come tale, dato che permette di vedere il volto del parlante, come se si trovasse in presenza.

Per questo le rivendicazioni degli interpreti sono state affidate direttamente ai parlamentari della commissione Empl, quella che si occupa di politiche lavorative e affari sociali nell’Unione.

Alcuni eurodeputati, soprattutto del gruppo della Sinistra, hanno fatto propria questa battaglia, per la verità difficile da ignorare: una lettera alla presidente Metsola firmata da una trentina di loro chiede l’istituzione di regole definite per l’equipaggiamento e la procedura di connessione da remoto, oltre a criticare la «corsa al ribasso» nel tentativo di esternalizzare un servizio essenziale. Il Parlamento europeo è di solito molto combattivo sui diritti dei lavoratori e un problema del genere, in casa propria, non può passare inosservato.

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