Voci che giranoLa divinità eponima di Longbill Beach avvolta nel mistero

Dopo il di successo di “Quelle belle ragazze” (Harper Collins), Karin Slaughter esce con il suo nuovo giallo “La ragazza dimenticata”. L'intera città vorrebbe lasciarsi alle spalle l'omicidio di Emily, ma ciò che accade ora dopo parecchi anni pare intrecciarsi con quella vicenda

17 APRILE 1982

Emily Vaughn aggrottò la fronte davanti allo specchio. Il vestito era bello come in negozio. Il problema era il suo corpo. Si girò e rigirò in cerca di un lato dal quale non sembrasse una balena spiaggiata. «Rose, dovresti stare alla larga dai biscotti» disse Gram dall’angolo. Per un istante Emily rimase sconcertata. Rose era la sorella di Gram, morta di tubercolosi durante la Grande depressione. Il suo secondo nome era un omaggio a lei. «Gram…» Si premette una mano sul ventre aggiungendo:«… non credo siano i biscotti».

«Ne sei sicura?» Un sorriso malizioso increspò le sue labbra.

«Speravo me ne parlassi.»

Emily lanciò un’altra occhiata di disapprovazione al proprio riflesso prima di sforzarsi di sorridere. Si inginocchiò goffa davanti alla sedia a dondolo della nonna. L’anziana stava lavorando ai ferri un maglioncino da bambino. Le sue dita apparivano e scomparivano come colibrì dal minuscolo colletto arricciato. La manica del suo abito in stile vittoriano era risalita lungo il braccio. Emily le toccò il livido viola scuro sul polso ossuto.

«Che mamma sbadata.» Gram aveva quel tono cantilenante di chi cerca mille scuse. «Freddy, devi toglierti quel vestito prima che papà torni a casa.»

Ora Gram credeva che Emily fosse suo zio Fred. La demenza non era che una passeggiata alla scoperta dei tanti scheletri chiusi nell’armadio di famiglia.

«Vuoi che ti porti un paio di biscotti?» le chiese Emily.

«Sarebbe magnifico.» 

Gram continuò a sferruzzare ma i suoi occhi, che non erano mai davvero a fuoco su qualcosa, tutto a un tratto si concentrarono su Emily. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso. Piegò la testa di lato come se stesse osservando lo strato madreperlaceo di una conchiglia.

«Guarda che pelle liscia, meravigliosa. Sei così bella.»

«È di famiglia.»

Emily restò meravigliata dalla lucidità quasi tangibile che aveva trasformato lo sguardo della  nonna. Era di nuovo lì, come se una scopa avesse spazzato via le ragnatele dal suo cervello in subbuglio. Le sfiorò la guancia grinzosa. 

«Ciao, Gram.»

«Ciao, bambina mia adorata.» Le sue mani smisero di lavorare, ma solo per toccarle il viso. «Quand’è il tuo compleanno?»

Emily sapeva di doverle dare più informazioni possibili.

«Compirò diciott’anni tra due settimane, nonna.»

«Due settimane.» Il sorriso dell’anziana si allargò. «È così bello essere giovani. Tutte quelle aspettative. L’intero libro della tua vita dev’essere ancora scritto.»

Emily tenne duro creando una muraglia invisibile contro la valanga di emozioni. Non avrebbe guastato quel momento scoppiando in lacrime. «Raccontami una storia del tuo, Gram.»

Lei ne fu felice. Amava narrare storie. «Ti ho detto di quando aspettavo tuo padre?»

«No» rispose Emily, benché ne avesse sentito parlare decine di volte. 

«Com’era?»

«Spaventoso.» Rise per sdrammatizzare. «La mattina e la notte stavo male. Riuscivo a stento ad alzarmi dal letto per cucinare. La casa era un disastro. Fuori c’era un caldo torrido, parola mia. Volevo disperatamente tagliarmi i capelli. Erano lunghissimi, mi arrivavano alla vita, e quando me li lavavo il caldo me li rovinava prima che potessi asciugarli.»

Emily si chiese se Gram stesse confondendo la sua vita con Berenice si taglia i capelli alla maschietta. Fitzgerald e Hemingway riemergevano spesso nei suoi ricordi. 

«Quanto corti li hai tagliati?»

«Oh, no, non ho fatto niente del genere» replicò Gram.

«Tuo nonno non me lo avrebbe mai permesso.»

Emily sentì le labbra schiudersi per la sorpresa. Quella sembrava più vita vera che un racconto.

«È scoppiata una discussione infinita. È stato coinvolto mio padre. Lui e la mamma sono corsi in mio aiuto, ma tuo nonno si è rifiutato di lasciarli entrare in casa.» 

Emily le strinse forte le mani tremanti.

«Ricordo che hanno litigato sulla veranda. Stavano per prendersi a pugni quando mia madre li ha supplicati di smettere. Voleva portarmi a casa e prendersi cura di me fino alla nascita del bambino, ma tuo nonno si è opposto.»

A un tratto parve sconcertata, come se le fosse appena venuto in mente qualcosa. «Pensa a quanto sarebbe stata diversa la mia vita se mi avessero portata a casa, quel giorno.»

Emily non riusciva a immaginarlo. Riusciva solo a concepire la realtà della propria vita: era finita in trappola come sua nonna.

«Piccola mia.» Le dita nodose intercettarono le lacrime di Emily prima che cadessero. «Non essere triste. Te ne andrai. Frequenterai il college. Conoscerai un ragazzo che ti amerà. Avrai dei figli che ti adoreranno. Vivrai in una bella casa.»

Emily avvertì un senso di oppressione al petto. Il sogno di quella vita era svanito.

«Tesoro mio» disse Gram, «devi credermi. Io sono nel limbo tra la vita e la morte, il che mi consente di vedere tanto il passato quanto il futuro. Non scorgo che felicità per te nei giorni a venire.» Emily sentì la muraglia incrinarsi sotto il peso del dolore incombente. Qualsiasi cosa fosse successa – bella, brutta o così così – sua nonna non ne sarebbe stata testimone. «Ti voglio un bene immenso.»

Non ci fu risposta. Le ragnatele avevano di nuovo annebbiato lo sguardo di Gram, che tornò confuso. Stava tenendo le mani di una sconosciuta. Imbarazzata, l’anziana riprese i ferri e si mise all’opera. Emily si asciugò le lacrime mentre si alzava. Non c’era niente di peggio che guardar piangere una sconosciuta. Lo specchio chiamava, lei però stava già abbastanza male anche senza vedersi ancora riflessa. E poi non sarebbe cambiato nulla.

Gram non alzò lo sguardo mentre la nipote prendeva le sue cose e usciva dalla stanza. Emily raggiunse la cima delle scale e si mise in ascolto. Il tono stridulo di sua madre era attutito dalla porta dello studio. Restò in ascolto per cogliere la profonda voce baritonale di suo padre, ma probabilmente era ancora alla riunione di facoltà. Ciononostante si tolse le scarpe prima di scendere cauta i gradini.

Gli scricchiolii della vecchia casa le erano ben noti, come i litigi dei suoi genitori. Stava per aprire la porta d’ingresso quando si rammentò dei biscotti. L’imponente pendola del nonno segnava quasi le cinque. Gram non si sarebbe ricordata della richiesta, ma fino alle sei passate non l’avrebbero fatta mangiare. Emily posò le scarpe vicino alla porta e appoggiò la borsetta ai tacchi. Superò lo studio di sua madre in punta di piedi diretta in cucina.

«Dove diavolo pensi di andare vestita in quel modo?»

Il puzzo di sigari e di birra stantia di suo padre invadeva la cucina. La giacca nera del suo abito era gettata su una sedia. Aveva le maniche della camicia bianca arrotolate. Una lattina chiusa di Natty Boh spiccava accanto ad altre due già vuote e schiacciate. Emily osservò una goccia di condensa scorrervi sopra. Suo padre schioccò le dita come se stesse sollecitando uno dei suoi dottorandi.

«Rispondi.» 

«Stavo solo…»

«So cosa stavi solo…» tagliò corto lui. «Non ti basta il danno che hai già fatto a questa famiglia? Vuoi mandare completamente all’aria la nostra vita due giorni prima della settimana più importante per la carriera di tua madre?»

Emily sentì il volto bruciarle dalla vergogna. «Non riguarda…»

«Non mi frega un benemerito accidente di quello che pensi riguardi o non riguardi.» Tirò l’anello della lattina e gettò la linguetta nel lavello. «Puoi fare dietrofront, andare a toglierti quell’orrendo vestito e restare in camera tua finché non ti darò il permesso di uscire.»

«Sissignore.»

Aprì il pensile per prendere i biscotti per la nonna. Non aveva nemmeno sfiorato la confezione bianca e arancione dei Bergers che la mano di suo padre le strinse il polso. Il suo cervello si focalizzò non sul male, ma sul ricordo del livido che circondava il fragile polso della nonna come una manetta. Te ne andrai. Frequenterai il college. Conoscerai un ragazzo che ti amerà…

«Papà, io…»

Lui strinse più forte e il dolore le tolse il fiato. Emily era in ginocchio, gli occhi strizzati, quando il fetore del suo alito le

si insinuò nelle narici. «Cosa ti ho detto?»

«Tu…» Ansimò mentre le ossa del polso iniziavano a cedere.

«Mi dispiace, io…»

«Cosa ti ho detto?»

«D-di andare in camera mia.»

[….]

Una leggera brezza primaverile le accarezzò le spalle nude mentre attraversava il prato. L’erba le solleticava i piedi. Avvertiva la pungente salsedine proveniente dall’oceano in lontananza. L’Atlantico era troppo freddo per i turisti che in estate si riversavano sul lungomare. 

Per il momento Longbill Beach apparteneva ai residenti, che non avrebbero mai fatto file tortuose da Thrasher per una confezione di patatine fritte né fissato meravigliati le macchine che emettevano colorati filamenti di toffee nella vetrina del negozio di dolciumi.

L’estate. Mancavano solo pochi mesi.

Clay e Nardo, Ricky e Blake, tutti si stavano preparando per il diploma, pronti a cominciare la vita da adulti di lì a poco, a lasciare quella patetica, soffocante cittadina balneare. Avrebbero pensato ancora a Emily? Pensavano a lei, ora? Forse con pietà. Probabilmente con sollievo, per aver infine estirpato il marcio dalla loro piccola, incestuosa cerchia.

Sentirsi esclusa non le faceva più tanto male come all’inizio. Alla fine aveva accettato che non avrebbe più fatto parte dellaloro vita. Contrariamente a quanto aveva detto Gram, non se ne sarebbe andata. Non avrebbe frequentato il college. Non avrebbe conosciuto un ragazzo che l’avrebbe amata. Sarebbe finita a controllare i ragazzini pestiferi sulla spiaggia con il suo fischietto da bagnina o a distribuire un assaggio gratuito dopo l’altro dietro il bancone del Salty Pete’s Soft Serve.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“La ragazza dimenticata”, di Karine Slaughter, HarperCollins, 480 pagine, 2022, 9,99 euro

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