Modellare il mondoL’architettura deve pensare oggi a un domani arido oppure inondato

Immaginare un nuovo modo di costruire le nostre città è urgente, perché il cambiamento climatico sta trasformando il supporto fisico su cui lavorano i progettisti: il pianeta stesso

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Questo è un articolo dell’ultimo numero di Linkiesta Magazine Omaggio all’Ucraina + New York Times Big Ideas in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e stazioni di tutta Italia. Lo si può ordinare qui.
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Dalla metà di aprile all’inizio di giugno si sono verificate nove tempeste di sabbia nella regione centrale dell’Iraq. Le tempeste di sabbia sono il risultato di una grande massa di aria fredda che si muove rapidamente su un terreno asciutto ricoperto di sabbia e limo. Danneggiano l’agricoltura e la qualità dell’aria e, di conseguenza, la salute e la vita della popolazione. Sono fenomeni naturali notevoli che possono causare gravi danni ecologici. Le tempeste di sabbia sono comuni nel terreno desertico dell’Iraq, soprattutto durante l’estate a causa di un forte vento da nord-ovest, chiamato shamal, che soffia sulla pianura alluvionale dei fiumi Tigri ed Eufrate. Quest’anno la frequenza è aumentata, quasi una tempesta ogni settimana tra aprile e maggio.

Il punto è che la pianura alluvionale non è quasi più una pianura alluvionale: la terra è arida e salata a causa delle acque che arretrano e diminuiscono. Il problema idrico delle aree interne, che il cambiamento climatico rende sempre più drammatico, non viene affrontato in sede politica. A questo si sta per sommare l’impatto della diga Ilısu, l’ultima costruita in Turchia (è stata completata nel 2021). Questa diga, insieme agli altri sbarramenti, mette a serio rischio il territorio della Mesopotamia. Di fatto, l’acqua irachena è controllata al 70 per cento dalla Turchia e dall’Iran. Dighe, deforestazione, eccessivo sfruttamento e aumento della temperatura concorrono alla progressione di un dramma ambientale e umanitario irreversibile. Situazioni assimilabili si stanno verificando in molte altre parti del mondo: in Bangladesh, in Sri Lanka, in Pakistan, ma anche in California, in Sudafrica…

Lo testimoniano i titoli di quotidiani e agenzie stampa degli ultimi mesi. «Il Bangladesh conta i danni delle alluvioni: sessanta morti e milioni di sfollati. Molti esperti concordano che i cambiamenti climatici hanno reso il fenomeno più aggressivo», 22 maggio 2022 (Ansa). «In Sudafrica l’inondazione più grave di sempre: 443 morti e 40mila senza casa», 19 aprile 2022 (Euronews).

Tutto questo è reale per la popolazione irachena, sudafricana, del Bangladesh. È reale per gli italiani, per i francesi, per i tedeschi di etnia bengalese che hanno i negozi aperti 24 ore su 24 nelle nostre città, e per quelli di etnia indiana, irachena. Per il resto del mondo è racconto, neppure di particolare interesse.

Notizie a margine. «Siccità severa per il Po, dalla portata media di 603 metri cubi al secondo del 2003, a 407 degli ultimi mesi. L’acqua salata dell’Adriatico entra nelle terre coltivate della pianura per 15 km e le scorte di risorsa, in assenza di piogge abbondanti, non basteranno a coprire i fabbisogni della Pianura padana», 3 marzo 2022 (Autorità di Bacino distrettuale del fiume Po). «Anbi: calano fiumi e laghi in tutta Italia, rischio siccità», 3 giugno 2022 (Ansa).

Per le aziende agricole è reale. Se (e dove) l’acqua continua a scendere dai rubinetti, non è reale. Si tratta di altre note a margine trascurate, scansate, fastidiose, che riguardano sempre altri luoghi e altre persone.

Secondo uno studio pubblicato su Nature Communications, alla fine del 2019, l’innalzamento del livello del mare collegato al cambiamento climatico è molto più veloce rispetto alle osservazioni precedentemente fatte. Si stima che 200 milioni di persone potranno essere coinvolte in disastri climatici, nelle aree costiere, nei prossimi trent’anni. Questi risultati sono l’esito di un modello digitale, CoastalDem, messo a punto da Climate Central, un gruppo indipendente di scienziati e comunicatori che fanno ricerche e stilano report sugli effetti del cambiamento climatico. Per quanto riguarda l’Italia, per il tratto di costa da Cesenatico a Grado la nuova valutazione conferma la precedente, con intrusione del mare nei territori fino a 60 chilometri dalla costa e con grave compromissione della pianura Padana e del delta del Po.

È proprio sulle previsioni di come potrà essere il nostro Pianeta che si fonda la riflessione sulla pianificazione urbana e sulla capacità dell’architettura di adeguarsi e di influenzare le trasformazioni ambientali. L’oggi dell’architettura è una proiezione nel futuro prossimo e remoto, un futuro che non sarà l’evoluzione del presente, ma qualcosa di profondamente diverso.

Si abbatteranno – forse? come? – i confini tra digitale e fisico come sta anticipando il metaverso? Come si modellerà la dimensione concreta dell’esistenza? Esisteranno ancora le categorie dell’abitare, del fare, dell’educare nell’accezione contemporanea? Come sarà la Terra? L’acqua, elemento unico e trasversale, misura, attraverso i segni che traccia, la progressione del cambiamento climatico nel tempo e le mutazioni che ne derivano.

L’architettura sta cambiando perché si sta trasformando il “suo supporto fisico”, con un’accelerazione impressa dal cambiamento del clima. È una relazione causa-effetto tanto evidente quanto drammatica. Mettere a punto un nuovo modo di costruire le città e di modificare i luoghi e le connessioni tra essi non è solo una responsabilità sociale di chi progetta, ma una necessità immediata.

Acqua che genera paesaggi, agricoltura diversificata, mobilità e trasformabilità delle “case”: l’architettura diventa sempre più strategica, perché è difficile per le altre discipline assumere un ruolo di coordinamento, mentre l’architettura è, per suo carattere intrinseco, più coerente rispetto alla comprensione e alla pianificazione del territorio, alle mappe urbane, all’interazione con l’ambiente e già possiede tutti gli strumenti per proiettarsi in un tempo meno uguale a quelli passati.

In occasione della Conferenza sul Clima – Cop 26 che si è tenuta a Glasgow, a novembre dello scorso anno, il magazine Deezen ha svolto un’indagine presso i maggiori studi di architettura inglesi alla vigilia e dopo la conclusione dell’evento, relativamente ai contenuti del padiglione Build Better Now, dedicato all’architettura. Aspettative e risultati a confronto: molti hanno rilevato superficialità nell’affrontare i temi progettuali legati al cambiamento climatico, ma nessuno di loro ha segnalato la mancata attenzione all’acqua. Esiste l’acqua per l’architettura?

Il Carbon Disclouse Project (Cdp), nel rapporto Cities at Risk, ha disegnato una mappa globale delle città a rischio a causa di eventi estremi collegati ai cambiamenti climatici, analizzando anche gli impatti di questi eventi sugli aspetti sociali, quali migrazioni, servizi alla salute o all’igiene. La mappa evidenzia gli indici di rischio collegati al clima riferiti a ogni città. Guidano la classifica mondiale Rio de Janeiro, Barcellona, Torreón, Calgary e Sydney (con indici variabili da 27 a 35). In Italia, Roma (13), Venezia (21), Torino e Bologna, sono in pericolo a causa di tempeste, ondate di calore, inondazioni, alluvioni, frane e fenomeni di sprofondamento.

In Europa le città di Rotterdam e Copenaghen hanno adottato azioni di adattamento organizzate sia in modo puntuale sia secondo strategie lineari e d’area In particolare, la città di Copenaghen ha definito la costruzione di edifici sollevati dalla quota del livello del mare, potenziando contemporaneamente dei sistemi di drenaggio urbano, attraverso l’installazione di valvole antiriflusso e la realizzazione di piani interrati impermeabilizzati. Parallelamente a queste operazioni, sono state realizzate grandi opere di ingegneria idraulica, prevalentemente dighe, e sono state create barriere di sabbia (sandbags). Insieme a queste misure specifiche sono state delocalizzate le funzioni urbane più soggette a vulnerabilità e sono stati progettati edifici in aree della costa non esposte. A Rotterdam, la strategia puntuale è stata quella di realizzare edifici flood-proof e wet-proof e di potenziare le aree verdi e gli elementi naturali.

A questo si è affiancato il potenziamento delle dighe e delle barriere di sbarramento che proteggono dalle tempeste e dall’innalzamento del mare, oltre a una importante pianificazione infrastrutturale blue e green. La predisposizione della compartimentazione delle aree urbane in caso di emergenza è un’operazione di grande interesse.

In altre città le strategie adottate sono differenti, non solo adeguate a situazioni diverse, ma anche esito di un diverso approccio progettuale. Per esempio, a New Orleans sono stati potenziati i sistemi meccanici di drenaggio e tutto il sistema dei canali con particolare attenzione alla realizzazione di zone umide intermedie. La strategia di New York è invece di carattere prevalentemente difensivo, con la realizzazione di grandi opere di ingegneria idraulica, paratie, barriere artificiali di contenimento temporaneo, dune, sistemi frangiflutti (bulkheads, floodwalls, levees, storm surge barrier, groins, dunes) e con il riporto naturale di sabbia lungo la costa.

Le riflessioni progettuali sull’acqua sono molto tecniche, si concentrano sulla narrazione (necessaria) di eccesso o assenza e sulle soluzioni possibili. Da questo punto di vista sono le infrastrutture il nuovo paradigma di valorizzazione dell’acqua, in grado di razionalizzare i prelievi e i consumi per le attività antropiche, prestando attenzione alla richiesta d’acqua da parte dell’ambiente, utilizzando i diversi tipi di acqua per collettamento reflui, trasporti, e usi ricreativi, considerando tutte le implicazioni sanitarie in un sistema di circolarità dell’acqua e di gestione integrata delle diverse risorse in funzione di qualità. Le reti e le infrastrutture verdi e blu hanno grande importanza sia come moderatrici microclimatiche sia per assorbire e trattenere maggiori quantità di acque piovane. Rispetto al riscaldamento e alle isole di calore, possono migliorare il raffrescamento utilizzando, quando possibile, le falde freatiche, i corpi idrici superficiali e i sistemi per il recupero e il riutilizzo delle acque piovane e grigie.

Come spesso accade, si confonde però lo strumento con l’obiettivo. Non si prende in esame come il valore dell’acqua sia variabile, a seconda del tempo e dei luoghi, né si considera a sufficienza la sua dimensione sociale, ambientale e culturale. Si cristallizza il problema in un alveo di competenza ingegneristica che, fino a oggi, ha negato il senso nuovo del fare architettura basato sulla fragilità, sull’instabilità, sulla precarietà delle condizioni ambientali.

L’acqua non è semplicemente la maggior sentinella, ma è la protagonista, in una relazione di bilanciamento ed equilibrio con il suolo, nella conservazione dell’ecosistema ambientale. Ancora più importante, l’acqua è “unica”: sorgenti, fiumi, mare, crinali, pianure e coste sono parti di un sistema unitario ed è necessario concentrare il massimo dell’attenzione sulla relazione tra acqua e terra, prima di attivare qualsiasi processo di trasformazione. Alla scala planetaria l’equilibrio è un concetto non recepito, perché pone in conflitto le economie regionali con i bisogni globali e gli appetiti immobiliari, industriali e finanziari con le necessità climatiche.

L’architettura è il mezzo ideale per creare condizioni resilienti al cambiamento climatico e l’acqua è l’elemento che mette a sistema l’insieme delle cose.

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