La Bosnia-Erzegovina guarda con disillusione a un possibile ingresso nell’Unione europea. La nazione balcanica ha presentato domanda di adesione nel febbraio 2018 ma il dialogo con Bruxelles si è arenato ancor prima di cominciare e Sarajevo è considerata ancora solo un candidato potenziale.
Il dettagliato questionario politico, necessario per formalizzare la candidatura, non è stato completato, mentre per l’Unione europea sembra che la Bosnia non sia una priorità.
Per ottenere l’apertura dei negoziati la Bosnia dovrà compiere progressi in 14 ambiti identificati dalla Commissione ma il Paese appare ancora lontano dal soddisfacimento di questi criteri. Le istituzioni e lo Stato di diritto devono ancora essere rafforzati, e l’economia ancora non è competitiva.
Un sondaggio, realizzato nel dicembre 2021 dal National Democratic Institute, ha evidenziato che il supporto per la membership nell’Unione europea ha raggiunto uno dei livelli più alti degli ultimi anni, con l’85% di favorevoli. Questo dato deve essere letto in parallelo con quello che vede il 90% degli intervistati che afferma che la Bosnia Erzegovina si sta muovendo nella direzione sbagliata per quanto concerne la corruzione e altre problematiche di natura economica. Hamza Karcic, Associato di Scienze Politiche presso l’università di Sarajevo, ha affermato su Al Jazeera che a lungo i bosniaci hanno visto nell’integrazione europea una sorta di panacea in grado di risolvere tutti i loro problemi.
Nell’ultimo summit comunitario, svoltosi a Bruxelles lo scorso 23 giugno, la Bosnia-Erzegovina è stata completamente ignorata mentre Moldova e Ucraina hanno ricevuto lo status di candidati.
Questa decisione ha suscitato l’irritazione di cinque nazioni dell’Europa centrale (Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria), che hanno pubblicamente esortato l’Unione a dimostrare una maggiore apertura nei confronti della Bosnia. La mancanza di progressi nell’aderire all’Unione riguarda sei nazioni dei Balcani Occidentali e il Primo Ministro albanese Edi Rama ha ricordato come lo status di candidato rischi di diventare una condizione permanente: la Macedonia del Nord, ad esempio, è Paese candidato dal 2005 e l’Albania dal 2014.
L’Unione europea (insieme agli Stati Uniti e alla Nato) ha ricoperto un ruolo di primo piano in Bosnia nel corso degli ultimi decenni e ha favorito l’applicazione degli Accordi di Pace di Dayton che, nel 1995, misero fine a quattro sanguinosi anni di guerra tra Bosniaci, Croati e Serbi. L’intesa aveva lo scopo di coinvolgere le tre etnie in un complesso processo di condivisione del potere politico che, però, non è mai decollato del tutto e non ha dissolto il clima di tensione.
Il sistema politico bosniaco è tra i più complessi al mondo ed è proprio da questa complessità che derivano tante problematiche. Ci sono quattro livelli di governo: il primo è quello centrale, composto da un Parlamento bicamerale eletto con il proporzionale e da una Presidenza di tre membri (uno bosniaco, uno serbo ed uno croato) con poteri in politica estera; ci sono due entità quasi-statali, la Federazione della Bosnia Erzegovina (a maggioranza bosniaca e croata) e la Repubblica Srpska (a maggioranza serba), ciascuna con un proprio sistema esecutivo, legislativo e giudiziario; hiudono il cerchio 10 cantoni. L’Ufficio dell’Alto Rappresentante ha l’autorità di rimuovere i funzionari eletti che ostacolano il processo di pace.
Nel dopoguerra, come chiarito dall’analista Giorgio Fruscione dell’Ispi, i principali partiti non hanno promosso un’identità unitaria e in particolar modo quelli serbo-bosniaci hanno prosperato agitando lo spauracchio di una possibile assimilazione o cancellazione nazionale. L’unica eccezione ha riguardato i partiti bosniaci, che si sono fatti prototipo dell’unitarismo.
Le crisi politiche sono una costante del panorama interno e non sono mancate veri e propri momenti di paralisi. Negli ultimi mesi del 2021, ad esempio, il membro serbo della presidenza tripartita Milorak Dodik ha minacciato la tenuta del governo centrale ipotizzando la ricostituzione di un esercito serbo-bosniaco e facendo tornare l’incubo della guerra.
Dodik, premier della Repubblica Srpska, è saldamente schierato a fianco della Russia di Vladimir Putin ma all’inizio del 2022 si è mostrato d’accordo con un’accelerazione del processo di adesione della Bosnia Erzegovina ritrovandosi, dopo molto tempo, in sintonia con Sarajevo.
Il futuro della Bosnia Erzegovina è tornato, dopo molto tempo, al centro dell’interesse internazionale dopo che la guerra della Russia in Ucraina, come chiarito dal Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg su Emerging Europe, ha reso evidente che il dialogo e la cooperazione «sono più importanti che mai». Quello che accadrà veramente, però, è ancora avvolto nel mistero.