Il più veloce a twittare è Xavier Bettel, Primo Ministro del Lussemburgo. Poi arriva il messaggio di Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, seguito da tanti capi di Stato e di governo dell’Unione Europea. Tutti parlano di «momento storico»: Ucraina e Moldavia sono ufficialmente Paesi candidati all’adesione, il primo passo nel percorso verso l’ingresso nell’Unione europea. Per la Georgia, invece, c’è una «prospettiva europea»: lo status di Paese candidato verrà concesso una volta soddisfatte le richieste indicate nell’analisi della Commissione europea in merito.
Un accordo sofferto
Istantanei anche i ringraziamenti dei due presidenti coinvolti, Volodymyr Zelensky e Maia Sandu. Per l’Ucraina ci sono altre buone notizie dal summit europeo: il Consiglio ribadisce il sostegno contro l’invasione russa e anzi si impegna a un «ulteriore aumento del supporto militare» e incita la Commissione a presentare un piano da nove miliardi di euro per la ricostruzione del Paese.
Sincerely commend EU leaders’ decision at #EUCO to grant 🇺🇦 a candidate status. It’s a unique and historical moment in 🇺🇦-🇪🇺 relations. Grateful to @CharlesMichel, @vonderleyen and EU leaders for support. Ukraine’s future is within the EU. #EmbraceUkraine https://t.co/o6dJVmTQrn
— Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) June 23, 2022
Sulla concessione a Kiev pesa, inevitabilmente, la guerra. Lo ha confermato indirettamente anche il presidente francese Emmanuel Macron, sottolineando il comportamento dell’Unione sul conflitto: prima le sanzioni alla Russia, poi il sostegno macro-economico all’Ucraina, e ora questo atto dalla forte valenza politica.
La decisione positiva era infatti attesa, visti anche i chiari messaggi mandati dai leader europei al loro arrivo. Persino i Paesi membri più scettici, come Portogallo, Svezia o Paesi Bassi, avevano superato i propri dubbi e nessuno ha utilizzato il proprio potere di veto per bloccare l’assegnazione. Il Primo ministro olandese Mark Rutte, uno dei possibili ostacoli della vigilia, ha detto di considerare bilanciata l’analisi della Commissione, che auspica la concessione dello status, ma invita i governi ucraino e moldavo a una serie di riforme.
Anche il Parlamento europeo in mattinata si era espresso a larghissima maggioranza a favore della concessione, con 529 voti favorevoli: in questo caso il parere dell’Eurocamera non era in nessun modo vincolante, ma restava un chiaro segnale politico.
La discussione, comunque, si è protratta fino all’ora di cena, forse più a lungo del previsto: secondo fonti diplomatiche, Slovenia, Austria e Croazia chiedevano la concessione dello status di Paese candidato anche alla Bosnia-Erzegovina, che ha presentato domanda di adesione nel 2016 ed è stata di fatto «scavalcata» da ucraini e moldavi, che lo hanno fatto quest’anno.
Un nodo superato poco dopo le 20: a Sarajevo il Consiglio promette di essere pronto a garantire la candidatura, a patto che venga completata la riforma elettorale e che vengano risolti i 14 punti prioritari evidenziati dalla Commissione europea per il Paese.
Problemi balcanici
La questione bosniaca non è stato l’unico elemento di attrito riguardo l’allargamento dell’Unione ai Balcani occidentali. Prima del summit, infatti, i capi di Stato e di governo dell’Ue hanno incontrato i loro omologhi di Serbia, Montenegro, Kosovo, Albania, Macedonia del Nord e Bosnia-Erzegovina.
Un incontro per nulla positivo, a sentire la versione balcanica: forse anche per questo il Consiglio non ha organizzato nessuna conferenza stampa al termine del vertice, mentre hanno parlato ai giornalisti Aleksandar Vučić, Dimitar Kovačevski ed Edi Rama, in rappresentanza di Serbia, Macedonia del Nord e Albania.
I loro Paesi si trovano a stadi diversi nel percorso di adesione all’Unione europea, ma sono accomunati dalla frustrazione per lo stallo nel processo. La Serbia ha aperto i negoziati nel 2014, ma con pochi progressi da allora. Il tono dimesso di Vučić in conferenza stampa vale più delle sue parole: «È stata una buona discussione, ma senza risultati concreti». L’Unione gli chiede una «normalizzazione» delle relazioni con il Kosovo, che per la Serbia resta una regione secessionista, tanto che Vučić lo nomina con difficoltà di fronte ai giornalisti.
Se tra Belgrado e Bruxelles non si registra nessun avanzamento, la situazione di Albania e Macedonia del Nord è più intricata. I due Paesi sono candidati all’adesione rispettivamente da 2014 e 2005, ma vedono costantemente sfumare il passaggio successivo, l’apertura dei negoziati, per cui è richiesto il voto a favore di tutti gli Stati dell’Ue.
A sbarrare il passo è la Bulgaria, per una disputa con la Macedonia del Nord: il governo di Sofia ha un conto aperto con quello di Skopje per la tutela di una minoranza bulgara, che a suo dire dovrebbe essere garantita costituzionalmente dai macedoni. Gli altri leader europei non sono riusciti a sbloccare l’impasse, nonostante la dimostrazione di buona volontà in questo senso da parte di tutti, come riconosciuto da Kovačevski e Rama.
Dai diplomatici comunitari sono arrivati promesse di sostegno economico alla regione e accelerazione nei rispettivi processi di adesione, insieme alle richieste di riforme in campo giudiziario e nella lotta alla corruzione. C’è anche l’impegno ad aprire i negoziati quanto prima, nella speranza di risolvere una questione bilaterale che si è trasformata in problema per tutti.
Rama però non è sembrato convinto e ha espresso la sua frustrazione con una metafora letteraria. «Albania e Macedonia del Nord sono Vladimir ed Estragon, i personaggi di “Aspettando Godot”. L’Unione europea è l’autore dell’opera, Samuel Beckett. Continuiamo ad attendere qualcosa che non arriva mai. Sarebbe meglio se alle belle parole seguissero i fatti».
Stesso desiderio, probabilmente, per Ucraina e Moldavia, a cui l’Unione sembra oggi assicurare un futuro condiviso. Con tutti i caveat del caso, visto che dopo la concessione dello status la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha rimarcato come i due Paesi debbano fare «i compiti a casa» per accedere alla prossima fase del percorso. E perché la loro speranza non si traduca in una vana attesa.