Una scommessa che potrebbe rivelarsi un azzardo. L’accordo tra Carlo Calenda ed Enrico Letta è difficile che cambi i pronostici di vittoria del centrodestra. Al massimo serve ad ammortizzare, a contenere la cavalcata di Giorgia Meloni e compagnia del centrodestra alla conquista di Palazzo Chigi.
Magari si verifica il miracolo del colpo di scena del pareggio o addirittura di una vittoria di segno opposto ai pronostici. I miracoli però non sono della stessa materia della politica. Per cambiare la previsione elettorale, il 25 settembre sarebbe necessario che il Pd riuscisse a sfondare con slancio la soglia del 25% e Azione quella del 10%. Significherebbe in particolare prosciugare Forza Italia, portando il centrodestra sotto il 40 per cento.
Tutto è possibile nella folle Italia che mastica leader come chewing-gum, ma è chiaro che molto dipende dalla capacità di Carlo Calenda e dagli arrivi eccellenti di Forza Italia. Dalla capacità di spiegare il perché di questa scelta che non è darsi in pasto alla sinistra.
Per Calenda, per certi versi è più facile. Per Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini è oggettivamente difficile. Sono loro la vera interfaccia con quel mondo lì, dei moderati che hanno sempre votato per Silvio Berlusconi e se ne sono allontanati perché da tempo avevano cominciato a soffrire la convivenza politica con sovranisti e populisti. Che hanno apprezzato molto Mario Draghi, la serietà del suo governo e della sua agenda programmatica. E ora sono delusi che sia caduto anche per mano del Cavaliere.
Parliamoci chiaro: se fosse nato il Terzo Polo insieme a Matteo Renzi tutto sarebbe stato più semplice e lineare, nessuno avrebbe potuto dire loro che comunque la metti sei alleato con la sinistra. Già le trombe degli ex amici di Forza Italia suonano a pieno regime propagandistico. «Trasformisti, hanno gettato la maschera, dignità zero, quinte colonne della sinistra, hanno sottoscritto il patto delle tasse, come si cambia per non morire…», e così via per delegittimare e non farsi cannibalizzare. Ecco, la scommessa di Calenda spiazza una parte di questo elettorato e alcuni parlamentari che si sono avvicinati a Calenda. Il loro ragionamento è: anche se insisti sulla concretezza delle proposte, hai perso credibilità; devi sempre difenderti dagli avversari che fino a pochi giorni fa erano i tuoi compagni di partito; la forza di Calenda stava nell’indipendenza.
Una scelta che ha disorientato una parte del mondo berlusconiano che si era avvicinato a lui, e ha un tarlo in testa, cioè che sia stata determinata da un diktat di Emma Bonino. Il sospetto è che la ex leader Radicale aveva stretto un accordo con Letta. È il timore che sarà difficile spiegare agli elettori del mondo berlusconiano che nei collegi uninominali non ci sono i Fratoianni, i Bonelli, i Di Maio. Che i leader si presentano tutti nella quota proporzionale. Che ogni partito può fare campagna elettorale sulle proprie proposte. Distinzioni da addetti ai lavori.
Non è detto che le cose vadano così. Ci vorrà sicuramente un supplemento di capacità in più per spiegare che le differenze con la sinistra rimangono, mentre la scelta di campo è tra chi ha affossato Draghi e chi vuole continuare sul suo sentiero. Maria Stella Gelmini sostiene che le prossime elezioni sono «uno spartiacque» tra chi sta con l’Europa e chi è alleato con Le Pen e Orbán. C’è poco da giraci attorno: per la ministra delle Regioni siamo di fronte a un nuovo bipolarismo tra chi vuole la prosecuzione di un’esperienza come quella di Draghi e chi sceglie Meloni, strizza l’occhio a Putin, al sovranismo e al populismo. Per Gelmini e Carfagna si tratta di un’alleanza tra due aree ben distinte. L’area liberal popolare guidata da Calenda e quella di sinistra con a capo Letta. In comune c’è l’europeismo, l’atlantismo, alcune proposte economiche. Le due ministre saranno candidate solo nel proporzionale, libere di poter parlare alle imprese e ai professionisti come hanno sempre fatto. Dicono di non rinnegare la loro storia, la loro identità, come è accaduto nel governo Draghi. È il loro mantra.
Anche su alcuni tempi spinosi come la giustizia gli ex berlusconiani non vogliono fare un passo indietro. Enrico Costa, passato nel 2020 in Azione, vuole continuare la sua battaglia per la separazione delle carriere dei magistrati. «Lo farò in campagna elettorale e in Parlamento se verrò rieletto, non arretrerò di un millimetro, non mi interessa di quello che pensano e dicono nel Pd», afferma il deputato piemontese, convinto che sarà possibile ottenere il voto dei moderati e dei garantisti, che Calenda non abbia perso appeal.
Ci vorrà una buona comunicazione, sarà necessario rimanere in equilibrio sul filo della coerenza, contrastare gli strali del centrodestra e allo stesso tempo quelli di Matteo Renzi. Ignorare di essere alleati dei Fratoianni, Bonelli, dei No-rigassificatori-trivelle. Essere d’accordo con Letta ma non troppo e per niente con la sinistra dem di Orlando e Provenzano. Forse con questa legge elettorale non c’era scampo. Forse il pericolo del voto utile avrebbe portato a votare Pd e non il Terzo Polo.
Berlusconi comunque è contento di questo patto che gli dà la possibilità di non affogare nel mare della destra. Nella Prima Repubblica si sarebbe chiamato delle “convergenze parallele”. Ma sarebbe meglio definirlo delle “divergenze parallele”. Giochi di parole che ricordano Moro e i democristiani. In palio c’è il governo di un Paese, che dopo l’estate vivrà un momento difficile dal punto di vista economica, e sociale, mentre non è alle visite la fine della guerra, di cui spesso ci si dimentica. Vedremo come andrà a finire e chi ha ragione.