«Non ci sono più confini, siamo tutti uguali, Totti e Zagrebelsky, Moni Ovadia e Lory Del Santo, è la fine degli steccati culturali, Nanni Moretti ha firmato per uno spot della Lavazza». Dov’è Mario? è del 2016, e sembra scritto domani. Sembra un editoriale – però più divertente degli editoriali medi – a proposito dei politici su Twitter. Di quei politici che vogliono essere Totti e Lory Del Santo.
Ieri ho aperto Twitter, avevo appena finito di rivedere su Sky Dov’è Mario?, Veltroni nel ruolo di Veltroni aveva appena finito di lodare Corrado Guzzanti nel ruolo di Mario Bambea – l’intellettuale il cui disturbo post-traumatico consisteva in uno sdoppiamento di personalità, la notte diventava un comico greve che si vantava di non aver mai letto un libro – Veltroni aveva appena finito di complimentarsi con Bambea per aver finalmente conciliato «l’alto e il basso della cultura, Wittgenstein e Napo Orso Capo», quando su Twitter mi è apparso Luca Bizzarri che rispondeva a Di Maio.
A Di Maio che a sua volta rilanciava Calenda (che al mercato mio padre comprò), giacché Twitter è una ricreazione della seconda media in cui tutti vogliono l’ultima parola prima di rientrare in classe (classe in cui non paiono rientrare mai, o comunque nessuno pare interrogarli o bocciarli: molto Napo Orso Capo e pochissimo Wittgenstein).
Nello sdoppiamento delle pubbliche personalità, Bizzarri dovrebbe essere Bizio Capoccetti (l’identità dissociata di Guzzanti, quello che fa molto ridere ma poi ti vergogni d’avere riso), e coloro che ci governano o ambiscono a governarci dovrebbero essere Mario Bambea, l’identità ufficiale, seriosa, così trombona da avere il bagagliaio pieno di libri invenduti, così ligia da rischiare l’impopolarità, così diversa da noi, «io faccio teatro civile, tu fai teatro incivile».
E invece, è proprio Bizzarri che si prende il disturbo di farlo notare quando Salvini o altri gli rispondono sui social, quando nella ricreazione di seconda media vogliono avere l’ultima parola con uno che di professione fa il comico e tu sei così allocco che è proprio quella la Caporetto che ti scegli, proprio un professionista quello con cui vuoi avere l’ultima battuta – e invece, dicevo prima di perdermi in cinquantasette subordinate, quella questione dei ruoli non la capiscono.
Pensano, come l’agente di Bambea, che ormai Wittgenstein possa – debba – dialogare con Lory Del Santo, e non importa quanto Bizzarri si sgoli a dirgli che, se il senatore risponde al pagliaccio, è il senatore che diventa pagliaccio, mica il pagliaccio che diventa senatore: loro sanno di vivere nella società dello spettacolo.
E quindi ieri mattina mi appare questo tamponamento a catena, in cui (spero di non perdere dei pezzi): Di Maio in un programma di La7 dice «Saremo la sorpresa di queste elezioni»; Calenda rilancia il tweet di La7 parlando di «sollievo fisico di non dover pensare a Di Maio come alleato»; il «cicca cicca» prosegue con Di Maio che rilancia il tweet di Calenda rispondendo che «il sollievo è reciproco» e «saluta Renzi» (dev’essere un restyling di «salutame ’a soret’»).
A quel punto interviene Bizzarri (quando sono i pagliacci a dover spiegare il senso delle opportunità alle istituzioni, la situazione è grave) facendo notare che, sotto il nome di Di Maio, c’è scritto «Italia – Funzionario di Stato».
Non se l’è scritto Di Maio, eh: è una scelta di Twitter, un posto dove sono così ingenui da pensare che lavorare per un governo faccia di te una persona seria (una convinzione ben bislacca, per un’azienda nata nella nazione che ha avuto per capo Trump; ma in effetti gli unici ad aver detto a Trump «adesso basta» sono stati loro: stai a vedere che i social, con la clientela poco seria che si ritrovano, sono gli unici posti gestiti seriamente).
Cliccando su «Funzionario di Stato», Twitter mostra le regole con cui attribuisce queste etichette: «La nostra attenzione è rivolta agli alti funzionari e alle entità che rappresentano la voce ufficiale di uno Stato-nazione all’estero, con particolare riferimento agli account dei più importanti funzionari governativi, inclusi ministri degli esteri, entità istituzionali, ambasciatori, portavoce ufficiali, funzionari della difesa e importanti leader diplomatici. Laddove gli account non svolgano alcun ruolo come canale di comunicazione geopolitico o ufficiale del governo, non li contrassegniamo».
A parte l’uso analfabeta di «Laddove» (non lo sanno usare i giornalisti, possiamo pretenderlo da gente che si occupa di cuoricini?), la domanda è: «il sollievo è reciproco, saluta Renzi» è un messaggio da canale di comunicazione geopolitico? O, come suggerisce il pagliaccio Bizzarri, «Se quando giocate a chi ce l’ha più lungo evitaste di utilizzare profili con su scritto “Funzionario di Stato” fareste fare più bella figura al paese. Vi fate il profilo “adolescente” e da lì fate tutte le gare che volete»?
C’è un punto, in Dov’è Mario?, in cui Bambea, ospite in una specie di Radio3, riceve la telefonata d’un ascoltatore, Antonio, che protesta: «È da un’ora che v’ascolto, e ’nciò capito ’n cazzo, ma voi siete pagati per famme senti’ ’n coglione? E voi sareste la guida morale de ’sto cazzo de paese?». Nessuno vuol essere Wittgenstein, e tutti vogliamo essere Totti, perché abbiamo il terrore dell’ascoltatore Antonio, abbiamo il terrore dell’Ennio Fantastichini che in Ferie d’agosto diceva «voi intellettuali fate tanto i sofistici». Non temiamo di passare per pagliacci: temiamo di passare per utilizzatori elitari di quadrisillabi bisdruccioli.
Chiedeva sottovoce e con terrore il conduttore radiofonico a Bambea: «Te ce l’hai Twitter, Mario? Non installarlo mai, mai». Bisognerà dare retta a Bizzarri? Sarà il caso che ogni Wittgenstein con ambizioni da Lory Del Santo si faccia un secondo profilo? Sarà, come diceva Guzzanti facendosi la critica culturale del proprio prodotto all’interno del prodotto stesso, che quest’espediente del döppelganger è da bollitissima commedia all’italiana? E, se è un Capoccetti a dover dare saggi consigli ai Bambea della classe dirigente, non significherà che la catastrofe è inevitabile?