La presentazione del programma elaborato dalla lista guidata da Carlo Calenda ha suscitato in me, tra gli altri, un inquietante interrogativo: che ne è del programma (accordo, piattaforma, manifesto: chiamatelo come volete), scritto materialmente dallo stesso Calenda e presentato pubblicamente poco più di due settimane fa dal leader di Azione insieme con il segretario del Pd, Enrico Letta, e il segretario di Più Europa, Benedetto Della Vedova? Se, come pare, l’uscita di Calenda non ha comportato la decadenza dell’accordo, né la sua revisione, si direbbe l’unico caso al mondo in cui due partiti (Pd e Più Europa) si presentano con una piattaforma programmatica scritta da un loro avversario. A ben vedere, tuttavia, la situazione è ancora più complicata, e per molti versi illuminante.
Uno degli argomenti con cui Calenda ha giustificato la decisione di rompere l’accordo con il Pd, infatti, è la scelta compiuta da Letta di sottoscrivere un altro patto con la sinistra di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, sia pure derubricandolo a semplice accordo elettorale, in chiave puramente difensiva: la difesa della Costituzione dal possibile assalto della destra, possibilità cui peraltro lo stesso Letta ha spianato la strada, come già spiegato più volte su queste pagine (sì, lo confermo: ho intenzione di ricordarlo ogni giorno, di qui al 25 settembre).
Avverso per natura a ogni inutile eccesso, tralascio l’analisi del programma in ben centodieci punti nel frattempo presentato dagli stessi Fratoianni e Bonelli, con trasporti pubblici e istruzione gratis per tutti, e un sacco di altre bellissime cose che solo chi sia più che sicuro di perdere si azzarderebbe a promettere, assieme a diverse altre meno belle di cui comunque non ha senso discutere. Del resto, nella sua ultima direzione, anche il Partito democratico ha approvato un suo programma (se non ve ne eravate accorti non è colpa mia). Per la precisione, dovrei dire non il Pd, bensì la lista «Partito democratico – Italia democratica e progressista», ma anche la pazienza del più scrupoloso cronista ha un limite (per i dettagli, rimando a Wikipedia).
Intendiamoci, il fatto che i diversi partiti (o liste) di una coalizione presentino ciascuno il proprio programma, e al tempo stesso sottoscrivano un altro programma come coalizione, è una delle tante aberrazioni cui siamo abituati da trent’anni (si chiama bipolarismo), ed è esattamente quello che sta facendo il centrodestra. La novità è che questa volta il centrosinistra, cioè la coalizione che va da Più Europa alla lista Verdi e Sinistra, passando per l’Impegno civico di Luigi Di Maio e per il Pd, non fa nemmeno finta di avere un programma comune.
Del resto, sarebbe obiettivamente difficile metterlo insieme, per una coalizione che comprende, per fare solo un esempio, l’ultra-atlantismo di Emma Bonino e l’ultra-pacifismo di chi, come Fratoianni, è arrivato a votare contro l’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato (scelta per cui «pacifismo» non appare davvero il termine giusto, non rendendo affatto il misto di cinismo e pressapochismo necessari per chiudere la porta in faccia a paesi confinanti con una potenza imperialista, da questa apertamente minacciati, che l’ingresso nell’alleanza atlantica metterebbe immediatamente al sicuro).
La novità, in ogni caso, non è di poco conto. Con tutto il male che si può pensare degli accordi di desistenza tra Ulivo e Rifondazione comunista nel 1996 o delle micidiali 281 pagine del programma dell’Unione nel 2006, in un caso e nell’altro il centrosinistra si presentava facendo almeno finta di avere un programma comune (e proprio per questo la prima volta escludeva Rifondazione dall’alleanza, la seconda annegava le sue posizioni, con quelle di tutti gli altri, in un mare di parole).
Qui abbiamo invece un centrosinistra che non sembra prendere nemmeno in considerazione l’ipotesi di vincere le elezioni e dover poi governare, e non fa nulla per nasconderlo. Non si tratta solo del fatto che ciascun partito ha presentato il proprio programma – e in qualche caso, come si è visto, anche più d’uno – e a nessuno è venuto in mente di trovare uno straccio di piattaforma comune. Il problema è più profondo e risulta evidente solo ripercorrendo l’intera sequenza degli avvenimenti di queste pazze giornate.
Rimesse in fila, infatti, le ultime mosse del Pd possono fare un effetto psichedelico, ma hanno, a loro modo, una sorta di assurda consequenzialità. Dopo avere dichiarato (con Calenda) che la propria stella polare era l’Agenda Draghi, avere poi sottoscritto un patto elettorale con i più fieri oppositori del governo Draghi, avere tuttavia escluso ogni alleanza con il Movimento 5 stelle perché non abbastanza draghiano e contemporaneamente avere fatto fuori dalle liste tutti o quasi tutti i contrari all’alleanza con i cinquestelle (alleanza che larga parte del gruppo dirigente dice chiaramente di voler riannodare un minuto dopo il voto), Letta ha compiuto l’ultimo passo sulla via del definitivo sradicamento di ogni e qualsiasi idea di una possibile sinistra di governo nel nostro paese, presentando una coalizione che si candida direttamente all’opposizione.
Dovendo proprio darle un nome, la si potrebbe chiamare la strategia del voto futile.