Leggere che Silvio Berlusconi vorrebbe combattere il sovranismo e il populismo insieme con Giorgia Meloni e Matteo Salvini, come ha dichiarato nell’intervista di ieri al Foglio, in cui parla persino di un non meglio specificato futuro ruolo per Mario Draghi, può far sorridere o fare arrabbiare, ma non può stupire. E del resto fa il paio con Enrico Letta che vorrebbe realizzare l’Agenda Draghi con Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli.
Non so per quale motivo – dev’essercene sicuramente uno – da trent’anni a questa parte il novantanove per cento dei giornalisti, degli studiosi e degli opinionisti ci ripetano ogni giorno che il bipolarismo è il bene più prezioso della politica italiana, e guai a tornare indietro; fatto sta che le principali coalizioni su cui si fonda, centrodestra e centrosinistra, sono sempre state un’accozzaglia di partiti schierati su posizioni del tutto divergenti, destinate a sfasciarsi un minuto dopo il voto. Mai però eravamo arrivati a un simile delirio.
Il paradosso – che forse non è affatto un paradosso, ma la logica conseguenza di quel meccanismo – è che le uniche formazioni schierate su posizioni non palesemente autocontraddittorie sono oggi la lista liberaldemocratica di Carlo Calenda e Matteo Renzi da un lato, il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte dall’altro, entrambi fuori dai poli (e dunque dalla logica bipolare).
D’altra parte, trattandosi della campagna elettorale dall’esito più scontato di sempre, anche grazie alle astute mosse del Partito democratico e di Letta in particolare (come ho già spiegato qui, e come continuerò a ricordare ogni giorno, fino al 25 settembre, anche qualora dovessi occuparmi di letteratura o di sport), non è poi così strano che la scelta, l’unica rimasta a nostra disposizione, sia proprio quella: con i populisti o con i liberaldemocratici. Cioè pro o contro il populismo. In pratica: o Conte o Calenda.
Del resto, Fratoianni e Bonelli, ma anche larga parte del Pd, hanno già dichiarato espressamente l’intenzione di riaprire il dialogo con il Movimento 5 stelle un minuto dopo il voto. Chiunque sogni dunque un futuro diverso da questo per l’Italia e per la sinistra italiana, se anche non avesse la minima simpatia per Calenda e per tutto il resto della sua compagnia, dovrebbe votare per lui.
La scelta, l’unica effettivamente rimasta a nostra disposizione, data la sproporzione delle forze in campo e la contraddittoria composizione delle coalizioni, è solo quella. Se la cosa non vi piace, non prendetevela con me: sapete bene di chi è la colpa. Non costringetemi a ripeterlo due volte ad articolo.