Cambio di prospettiva Piccolo glossario della convivenza

Costruire il posto di lavoro in modo inclusivo è una delle sfide che racconta il saggio di Fabrizio Acanfora ”Di pari passo“ (Luiss University Press). Per evitare discriminazioni la dimensione professionale va riorganizzata tenendo conto dei bisogni di tutti

Per questa definizione parto dalla mia esperienza personale. Quando lavoravo nell’ufficio della compagnia di carte di credito in Olanda adoravo il turno di sera, quello che terminava alle dieci e mezza, perché in ufficio rimanevamo solitamente in due, il floor si svuotava a partire dalle cinque e i telefoni smettevano di squillare verso l’ora di cena. C’era silenzio, in quelle ore, e anche quando si parlava un po’ coi pochi colleghi rimasti le conversazioni per me erano più gestibili senza il trambusto della mattina. All’epoca non avevo ancora ricevuto la diagnosi di autismo per cui non sapevo il perché di tante difficoltà nell’interazione con i colleghi. Mi limitavo a sopportare i momenti di sovraccarico come qualcosa che mi accompagnava fin dall’infanzia, un difetto di fabbrica solo mio a cui dovermi abituare ma che dopo tanti anni continuava a mandarmi in tilt.

Per me, che ho una sensibilità particolarmente sviluppata agli stimoli sensoriali e una socialità che fa uso di codici non verbali e di un’interpretazione del linguaggio a volte differenti dalla media, l’ambiente lavorativo non era accessibile, o almeno non lo era come per gli altri. Il fatto stesso di sapere che sarei uscito dall’ufficio con i nervi a pezzi e una stanchezza mentale che aveva connotati fisici, rappresentava uno scoglio da superare ogni mattina prima di varcare la soglia di quell’edificio di pari passo che percepivo come asfissiante e scuro. Per le colleghe e i colleghi invece sembrava essere differente. A loro non piaceva quel lavoro, che svolgevano svogliatamente con la speranza di trovare qualcosa di meglio, ma a parte l’insoddisfazione di lavorare nel call-center di una banca e beccarsi gli insulti dei clienti insoddisfatti, non percepivano quel luogo – sia dal punto di vista fisico che sociale – come inospitale e pieno di ostacoli.

È il privilegio di vivere in una comunità che ha organizzato la propria socialità e gli spazi fisici (incluso l’aspetto degli stimoli sensoriali) intorno alle caratteristiche neurologiche comuni alla maggioranza delle persone. Un privilegio è fondamentalmente un diritto o una condizione che una persona o un gruppo detengono e vivono spesso inconsapevolmente, a discapito di altri individui e gruppi. In questo caso, il diritto di lavorare in un luogo strutturato intorno al proprio funzionamento neurologico e sociale. Molto spesso non si è coscienti di essere privilegiati proprio perché non ci si pensa, e tutto sommato è comprensibile. Anche io, prima di occuparmi approfonditamente delle questioni legate alla diversità, ero inconsapevole dei privilegi di cui godo rispetto a tante altre persone. Non ci rendiamo conto di avere qualcosa che ad altre persone manca perché è l’assenza a farci riflettere sul loro valore. Capita in modo evidente quando perdiamo una persona che è nella nostra vita ogni giorno come la madre, il padre o la compagna, il compagno, i fratelli o le sorelle, gli amici. 

Quella persona c’è, e diamo per scontato che continuerà a esserci, anzi non ci poniamo nemmeno il problema di una sua eventuale assenza finché non scompare dalla nostra vita. E allora ci accorgiamo di cosa significhi vivere senza di lei, e comprendiamo il valore che la sua presenza aveva nella nostra esistenza. Anche per questo motivo risulta così difficile ammettere di avere dei privilegi, perché non li vediamo e saremmo in grado di apprezzarne il valore solo nel momento in cui dovessimo perderli. Ma può essere utile fare un esercizio di immaginazione e provare a ipotizzare come ci sentiremmo nei panni di chi quei diritti, per noi scontati, non li possiede, ne è stato privato in quanto differente. Può essere utile soprattutto renderci conto che spesso minimizziamo la questione dei privilegi o neghiamo di essere privilegiate rispetto ad altre per lo sciocco e irrazionale timore di perdere potere.

Un po’ come quando alle coppie omosessuali viene negato il diritto di equiparare da un punto di vista legale la loro unione a quella delle coppie eterosessuali. Quell’estensione di un diritto ad altre persone non intacca né riduce il valore della coppia eterosessuale ma amplia le possibilità che la società offre ai suoi membri. Allo stesso modo un ufficio accessibile dà a tutti maggiori possibilità, come quella di poter scegliere se utilizzare lo scivolo al posto delle scale anche a chi non usa una carrozzina per muoversi, scelta che alcune persone non hanno il privilegio di poter compiere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

da Di pari passo: Il lavoro oltre l’idea di inclusione, di Fabrizio Acanfora, Luiss University Press, 2022, 144 pagine, 14 euro