Dopo la rottura tra Carlo Calenda e il Pd, il leader di Italia Viva Matteo Renzi ora si muove dritto verso la formazione del cosiddetto terzo polo. «Noi partiamo dalla politica», dice al Messaggero. «Quello del 25 settembre sarà un seme, che avrà un ottimo risultato elettorale ma che sarà destinato ad affermarsi in futuro. Ci sono moderati che non vogliono votare la Fiamma, ci sono riformisti che non vogliono votare gli anti Draghi: dare loro un tetto significa avere una visione politica, non una lista di cose tecniche da fare. C’è l’anima del Paese dei nostri figli nel progetto del Terzo Polo, non una triste macchina da guerra per vincere (o forse meglio dire: per perdere) i collegi».
Renzi, ovviamente, guarda a Calenda: «Quando abbiamo lavorato insieme, abbiamo lavorato bene. In particolar modo durante il periodo in cui abbiamo condiviso responsabilità varie di governo. Le idee in comune sono più vicine delle diversità metodologiche e caratteriali che ci separano. Noi ci siamo posizionati sul Terzo Polo da subito. Se Azione ci sta, siamo pronti a ricominciare insieme, senza primogeniture ma puntando al bene dell’Italia. Io e Carlo insieme possiamo fare il botto».
Renzi, che guarda già alla Leopolda di settembre, dà tempo a Calenda. «Penso che Azione debba avere il tempo di maturare una decisione difficile come quella di rompere l’accordo con il Pd», dice. «Occorre rispetto per scelte così travagliate. Quando saranno pronti a discutere, noi ci saremo. Se facciamo una lista unica ci sarà un solo front-runner. Se ne facciamo due, ce ne saranno due. Ma per come sono fatto io è la scelta politica che mi affascina, non la pur necessaria e doverosa ripartizione degli assetti. Se nasce il Terzo Polo, è un progetto che funziona per l’oggi e soprattutto per il domani. E io sono pronto a dare una mano con generosità. Ma deve essere un progetto politico, non la semplice reazione al fallimento del rapporto col Pd».
Ma, secondo Renzi, è Letta «il vero sconfitto di questa fase politica. Poteva fare un accordo in nome dell’antimelonismo e dell’antisalvinismo. È una tecnica politica che non apprezzo, ma la fanno in tanti: mettere tutti insieme contro qualcuno. Per farlo però doveva fare l’accordo con i Cinque Stelle. Non c’è riuscito. Oppure viceversa poteva fare un’agenda politica in nome di Mario Draghi e allora doveva portar dentro Italia Viva, Azione e i riformisti. E tenere fuori i populisti. Invece è rimasto invischiato nei suoi rancori personali contro di me. E soprattutto è rimasto indeciso e tentennante sulla strategia politica. Mi spiace per lui».
E se Renzi apre le porte a Calenda, il leader di Azione in un’intervista a Repubblica frena. «Non è detto che Meloni vinca», dice. «Prenderò molti voti in uscita dal centrodestra, ci sarà una grande onda di consenso come è accaduto a Roma». Anzi, aggiunge, «se vado bene toglierò tantissimi consensi alla destra nel proporzionale e questo compenserà il risultato dei collegi, anzi il saldo per loro sarà negativo. Posso mandare Forza Italia sotto il 3%». Perché «la parte sana di Forza Italia è con me».
Con Matteo Renzi? «ci incontreremo per discuterne, perché un accordo tra di noi non è né scontato né banale. Con Renzi ci sono rapporti deteriorati nel tempo, ci unisce una consonanza programmatica e ci dividono alcune scelte. Non avrei mai fatto un accordo di governo con i Cinque Stelle».
In caso di accordo, però Calenda preferisce le liste in coalizione. E il suo programma dei primi 100 giorni a Palazzo Chigi in caso di vittoria sarebbe: «Procedure d’urgenza per costruire i due rigassificatori, anche militarizzando i siti, riforma del reddito di cittadinanza, cancellazione del bonus 110% sostituito con una legge sull’efficientamento energetico, vendita dell’Ilva di Taranto e introduzione del salario minimo».
Quando Calenda ha firmato il patto con Letta, racconta, «ho difeso a spada tratta la scelta anche davanti alla rivolta di una parte del mio mondo. Ho avuto 1.500 tessere di Azione restituite in giorno». E ora sono tornati «suasi tutti, ma la tessera gliel’ho fatta pagare di nuovo».
Intanto, Giovanni Toti resta a osservare. Il suo auspicio ora è che la sua “Italia al centro” e “Noi con l’Italia” di Maurizio Lupi si uniscano. Ma non perché — assicura al Corriere — Calenda sia tornato ad essere una minaccia al centro con la sua ambizione di rappresentare il terzo polo: «Sinceramente, anche noi che pure avevamo guardato con interesse al sogno di un centro macroniano che si carica sulle spalle le sorti del Paese, prendiamo atto che è tramontato nella canicola d’agosto. Se non si sanno scegliere i compagni di strada per tre giorni consecutivi, figuriamoci governare un Paese per un lustro».
«Ma mica seguiamo le giravolte di Calenda noi, altrimenti saremmo finiti tutti in manicomio…», precisa. «Stiamo lavorando su questa proposta da giorni, è sempre stata aperta, e lo facciamo perché crediamo che in questa coalizione avere un centro forte sia un vantaggio per tutti. Se la Meloni arriverà prima è più che legittimo che governi. Ma è interesse di tutti che ci sia anche un’area come la nostra a portare avanti un metodo di cui l’Italia non può permettersi di fare a meno».