Colonne cadute, torri, mura ciclopiche, templi monumentali che si stagliano sullo sfondo di un mare che sa già di Africa: uno scenario così suggestivo si trova solo a Selinunte (Trapani), già descritta alla fine del ‘700 dai viaggiatori del Grand Tour come la città degli dei. Le sue rovine – racchiuse all’interno di un Parco Archeologico che per estensione è tra i maggiori del Mediterraneo – rappresentano una testimonianza rara e indiscutibile dell’incontro in Sicilia tra due grandi civiltà: quella greca e quella fenicio-punica di Cartagine.
La storia di Selinunte, infatti, è legata ai movimenti migratori provenienti dalla Grecia nel corso del VIII secolo a.C., agli incontri/scontri tra la polis e altre colonie e città siciliane e fenicie (l’eterna rivale Segesta, Siracusa, Cartagine), alle guerre per il controllo delle rotte nel Mediterraneo Occidentale. Dopo un paio di secoli di ricchezza e potenza, sono i Cartaginesi a dare il via ad un inarrestabile destino di decadenza di Selinunte: la città viene saccheggiata da soldati e mercenari di Cartagine, i suoi abitanti massacrati, i templi rasi al suolo.
La parola fine alla golden age di Selinunte la mette, però, la Prima Guerra Punica: nel 250 a.C., la città è definitivamente distrutta dagli occupanti cartaginesi (pare per non farla cadere in mani romane) e gli abitanti trasferiti a Lilibeo (l’odierna Marsala). Con l’andare dei secoli di Selinunte si perde anche il nome, e solo alla metà del XVI secolo si identifica il sito dell’antica città, ormai sepolta dalla sabbia e dalla vegetazione spontanea. Scavi archeologici degni di questo nome iniziano, però, solo a partire dal primo ‘800 e le campagne succedutesi negli anni portano alla luce un impianto urbano straordinario e unico nel suo genere.
È quello che si vede oggi aggirandosi tra i templi della Collina Orientale e le rovine dell’Acropoli, quello protetto, per l’appunto, dal Parco Archeologico oversize. Rimasto per anni una specie di scenario da cartolina, con le rovine dell’antica polis, le raffiche di vento profumato di zagara, il mare che accarezza le spiagge, la sinfonia di azzurri e blu, oggi il Parco sembra rinascere a nuova vita.
«La nostra mission – rivela il neo direttore del Parco Felice Crescente – è quella di far diventare l’area monumentale uno storytelling di pietra, che sveli segreti e storie dei nostri antenati, che riveli usi e costumi della Selinunte antica. Tutto per avvicinare il grande pubblico alla conoscenza di questo sito unico al mondo». Ed ecco, allora, che sono riprese le campagne di scavo condotte da un team internazionale di archeologi dell’Institute of fine arts della New York University, dell’Università degli Studi di Milano e dell’Istituto archeologico germanico di Roma.
Gli sforzi degli esperti hanno restituito piccoli grandi tesori: una minuscola figura mitologica (una arpia? una sirena?) in avorio e un falcone in pasta di lapislazzuli: «Sicuramente – afferma il professor Clemente Marconi che guida la missione internazionale di scavi – è una rappresentazione della divinità egizia Horus». I ritrovamenti degli scavi sono visibili nell’Antiquarium del Parco, quel Baglio Florio che oltre a conservare ceramiche e utensili, i resti del Tempio Y e testimonianze delle cerimonie religiose che si svolgevano nei recinti sacri dei templi, è destinato ad ospitare piccole mostre raffinate e laboratori di restauro, diventare sede della Biblioteca del Parco e ad accogliere un bookshop e un luogo di ristoro.
Inoltre è ritornata alla luce (dopo un minuzioso lavoro di pulizia e di diserbo) l’Agorà dell’antica polis. Come raccontano i libri di storia, l’Agorà era la zona principale delle città greche, la sede del mercato, un luogo di scambi commerciali, di socializzazione, di decisioni politiche. Questa di Selinunte è una Agorà da Guinness, la più grande al mondo, con una superficie di quasi 33mila metri quadrati.
«Sarà utilizzata – rivela Crescente – oltre che come attrattore storico-archeologico, come punto di osservazione del paesaggio (la vista spazia sui templi della collina Orientale, sulla Acropoli, sugli antichi porti sepolti della città) e del cielo (l’inquinamento luminoso qui è quasi inesistente)».
Tra le rovine della Collina Orientale e l’Acropoli è stata allestita, poi, “Ars aedificandi, il cantiere nel mondo classico”, mostra didascalica che nasce con l’obiettivo dichiarato di far capire ai visitatori del Terzo Millennio come i selinuntini, 2500 anni fa, costruivano i loro templi monumentali. Ecco allora gru, macchine da cantiere in scala 1:1, slitte e carri per il trasporto delle architravi e dei rocchi di colonna. E non è tutto. Il Parco apre in notturna: fino al 3 settembre l’area dei Templi della Collina Orientale rimane aperta fino a mezzanotte per una suggestiva visita alle rovine degli edifici sacri, al chiaro di luna e guidati dagli effetti speciali studiati da light designer.
Sempre con lo scopo di far rivivere il Parco sono stati studiati eventi che occuperanno spazi diversi: la presentazione di libri e una Lectura Dantis all’Acropoli, le Albe con i recital di arie celebri tratte dal patrimonio del melodramma italiano, tra i templi della Collina Orientale, il concerto del coro di Santa Cecilia nello spazio antistante il Baglio Florio. «E questo è solo l’inizio», avverte il direttore Crescente.
Se siete alla ricerca di una sistemazione per la notte…
Camere con vista quelle del Momentum BIO Resort, affacciate, come sono, sul Parco Archeologico dell’antica colonia greca di Selinunte. Il nucleo più antico dell’albergo è quello di un antico baglio del ‘700 e sulla corte – dove un tempo si estraeva l’acqua dal pozzo e si frangevano le olive – si affacciano gli ingressi delle camere in cui la semplicità zen del design contemporaneo si mescola con l’uso di materiali naturali. Il tutto è immerso nell’atmosfera magica della Sicilia arcaica e contadina dove si coltivano, oggi come secoli fa, le uve sacre a Dioniso e gli olivi dedicati ad Atena.
Ma il clou si tocca al tramonto quando la luce radente del sole illumina di rosso violaceo le colonne e i capitelli dei templi dorici, visibili tra i pini marittimi e le palme dalle terrazze dell’hotel o dalla infinity pool. Nei saloni del piano terra, sotto le arcate in tufo, o sotto i carrubi del giardino vengono servite le colazioni (a base di delikatessen locali, come il pane nero, la ricotta di pecora, i cannoli e i dolcetti di marzapane), i lunch (da provare il pane cunzato servito caldo accompagnato da olio, basilico e pomodoro) e le cene preparate dal giovane chef Francesco Gallo che utilizza per le sue preparazioni – uscite dai ricettari della nonna – verdure ed erbe aromatiche coltivate nell’orto del Resort, olio EVO di Nocellara del Belice, prodotti bio a chilometri 0 e farine di grani antichi.