«Spes contra spem, diceva Marco Pannella», ci ha detto ieri sera uno dei protagonisti del negoziato tra Italia viva e Azione rievocando il motto usato spesso dal leader radicale e prima ancora da Giorgio La Pira quando parlava di «osare l’inosabile». Sperare contro la speranza non è che sia il massimo!
È una situazione strana, con i renziani non certi dell’intesa con Carlo Calenda. Ma a meno di clamorose sorprese oggi si potrà dire «habemus Terzo Polo» guidato da Renzi e Calenda i cui nomi potrebbero comparire nel simbolo della lista alternativa alla destra sovranista e alla sinistra che non è riuscita ad allargarsi oltre i suoi confini storici.
A meno di clamorose sorprese, oggi l’incontro tra i leader di Azione e Italia viva dovrebbe chiudere positivamente la faccenda, anche se non è chiaro come verrà dato l’annuncio del parto: di certo Renzi, atteso nel pomeriggio alla Versiliana, intende dire tutto in quella sede.
È stata una gestazione lunga e faticosa, ore e ore a trattare sui seggi in un’estenuante maratona che ha messo a dura prova i negoziatori delle due formazioni politiche, peraltro tutta gente che si conosce da anni. Ma insomma sembra fatta, via. In ogni caso Renzi, se saltasse tutto, andrà avanti con Italia viva: ma veramente tutta la vicenda diventerebbe pazzesca.
Ieri è stato proprio Renzi, in un confronto a La Stampa, a sintetizzare il senso dell’operazione: «Se il centro va bene al proporzionale, Mario Draghi continuerà a fare il premier. Sarà un autunno duro e il Patto di stabilità in Europa va rivisto. Meglio che con gli olandesi, che sono tosti, vada a trattare la Meloni o Draghi?». Su questo la sintonia con Calenda è piena.
L’analisi del nascente Terzo Polo è interessante. Nella nuova emergenza che ci sarà nei prossimi mesi (l’inflazione continua a salire, ha certificato ieri l’Istat) è probabile che ci vorrà una rinegoziazione del Patto di stabilità mentre al tempo stesso bisognerà tenere i conti a posto per non perdere i fondi del Pnrr: una missione drammaticamente difficile. Chi la fa?
Certo non Giorgia Meloni che ancora non si espone sulle questioni economiche mantenendo un silenzio eloquente sulla sparate di Salvini e Berlusconi, una che si sente già presidente del Consiglio non può permettersi di sparare cialtronate. Ma il suo imbarazzo è evidente. Per i terzopolisti, come ovviamente per il Partito democratico, Giorgia è unfit. Ma quale carta calano Matteo e Carlo? La più pesante: quella di Mario Draghi. Che innegabilmente è il più attrezzato e il più autorevole per affrontare una situazione che come detto si preannuncia molto seria.
E allora la grande scommessa dei terzisti è togliere voti alla destra e anche al Pd per poter poi lavorare sul ritorno (o meglio, tecnicamente, la permanenza) di SuperMario a Palazzo Chigi in una situazione politico-parlamentare non chiara. È una bocciatura secca della Meloni ma è anche un insidioso disconoscimento del ruolo di outsider di Enrico Letta che sta costruendo la campagna del Pd e dei suoi alleati proprio sull’alternativa «o noi o la Meloni», che poi significa «o io o lei».
Ecco invece che Renzi getta sul tavolo un dilemma diverso, o Draghi o Meloni, che potrebbe essere uno slogan che funziona. Ovviamente a patto che l’operazione Terzo Polo funzioni, nella battaglia contro tutti e in primo luogo contro lo scetticismo di chi pensa che la diarchia Calenda-Renzi non funzionerà – e non è che obiettivamente i due non abbiano fornito argomenti a sostegno di questa tesi. Sta a loro prendere il vento giusto e convincere gli elettori che la partita è aperta, anche grazie a questa nuova offerta politica. E che in un sistema elettorale che – nessuno lo ricorda – assegna due terzi dei parlamentari col sistema proporzionale, potrebbe essere la pietra d’inciampo per un bipolarismo che in questi anni ha fallito la prova.