Donald Trump è stato interrogato ieri per l’inchiesta per frode fiscale che coinvolge la sua Trump Organization di New York. E sono passate solo poche ore dalla fine delle perquisizioni che l’Fbi ha fatto nella sua proprietà di Mar-a-Lago, in Florida. Ma con Trump è così, si salta da un caso legale a un altro. Le due indagini sono separate, e non sono le uniche che coinvolgono l’ex presidente: «Una nuova puntata della più grande caccia alle streghe di tutti i tempi», ha scritto su Truth, il social network sul quale diffonde le sue dichiarazioni pubbliche.
Per la storia riguardante gli scatoloni pieni di documenti che avrebbe portato nella sua villa di Mar-a-Lago, Trump potrebbe essere accusato di un reato molto grave: se avesse portato via da Washington documenti coperti da segreti di Stato, rischierebbe il carcere.
Non è la prima volta che un presidente, un suo assistente o un suo uomo di fiducia passa per le forche caudine delle leggi sul trattamento delle informazioni riservate. Sandy Berger, ad esempio, Consigliere per la sicurezza nazionale durante l’amministrazione Clinton, ha pagato una multa di 50mila dollari e ha scontato due anni di libertà vigilata dopo essersi dichiarato colpevole per una rimozione non autorizzata di documenti riservati dai National Archives nel 2003.
Trattandosi di un ex presidente, il caso di Trump avrebbe un peso politico diverso, ma non cambierebbe la sostanza: l’immunità di cui godeva quando sedeva nello Studio Ovale è svanita.
Secondo la legge statunitense – titolo 18, sezione 2071 del Codice federale – coloro che scientemente e illegalmente occultano, rimuovono, falsificano o distruggono documenti governativi rischiano fino a tre anni di carcere. Inoltre, se l’autore del reato occupa un ufficio federale «deve perdere» quell’ufficio e «sarà escluso da qualsiasi carica per gli Stati Uniti».
Secondo diversi esperti legali la legge comunque non potrebbe impedire a Trump di candidarsi alla presidenza e tornare alla Casa Bianca nel 2024 nel caso in cui dovesse vincere le elezioni. Più in alto della legge c’è l’articolo II della Costituzione americana: gli unici requisiti richiesti ai candidati sono l’essere un cittadino statunitense non naturalizzato di almeno 35 anni e aver vissuto nel Paese per almeno 14 anni – e Trump rientra in questa descrizione.
Inoltre ci sono già dei precedenti: Eugene Debs nel 1920 e Lyndon LaRouche nel 1992 si candidarono pur trovandosi dietro le sbarre.
L’avvocato Marc Elias, già consigliere generale per la campagna elettorale di Hillary Clinton, ha ricordato che la parte più importante di questa vicenda legale non è tanto l’effetto della 2071, quanto l’eccezionalità della situazione che si potrebbe creare: «L’idea che un candidato debba affrontare un processo del genere durante una campagna elettorale è a mio avviso un blockbuster nella politica americana».
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Il commento di Elias non è solo ironico. L’aria da caccia alle streghe che sta dipingendo Trump con il suo inner circle contribuirà a radicalizzare ancor di più quella parte di America, quindi di elettorato, che lo segue.
Martedì, quando si è diffusa la notizia delle perquisizioni, moltissimi esponenti del Partito Repubblicano hanno criticato duramente l’operazione dell’Fbi. E molti cittadini, si parla di sostenitori di Trump e del partito, si sono radunati davanti alla villa Mar-a-Lago per protestare con cartelli e slogan contro l’Fbi, il Dipartimento di Giustizia e il presidente Joe Biden.
«L’immediatezza con cui i repubblicani hanno serrato i ranghi e hanno criticato le implicazioni politiche della perquisizione, senza una piena comprensione della direzione delle indagini, è un segno del fatto che l’influenza di Trump sulla politica conservatrice americana è ancora molto forte», scrive il New York Times.
Trump ha anche cercato di capitalizzare il fervore a livello economico: Save America, il comitato politico a sostegno della sua avventura politica (nato dopo le elezioni del 2020), martedì ha inviato a tutti gli elettori un sms per una raccolta fondi in cui suggeriva che la ricerca dell’Fbi era la dimostrazione che c’è una «sinistra radicale» corrotta. C’era scritto: «Restituiamo il potere alle persone! Combatterai con me?».
Questo potrebbe essere il segnale che, indipendentemente dai prossimi sviluppi, Trump non rinuncerà alle elezioni. E i suoi elettori, che già una volta l’anno portato alla Casa Bianca, seppur con un voto popolare inferiore a quello di Hillary Clinton, non sembrano farsi spaventare o impensierire da queste notizie.
Dopotutto, si parla di quel segmento della popolazione – almeno di una parte – che Trump ha istigato fino all’assalto del Campidoglio a gennaio 2021.
Proprio quel momento lì, quel 6 gennaio, avrebbe rappresentato la fine della carriera politica per chiunque. Non per Trump. Non in questo particolare momento storico di polarizzazione delle posizioni politiche e dei candidati.
«È confortante pensare al 6 gennaio 2021 come a un giorno qualsiasi nella nostra storia, ma quel giorno il presidente ha incitato una folla violenta a prendere d’assalto il Campidoglio degli Stati Uniti e tentare di ribaltare i risultati di elezioni libere ed eque: forse dovremmo considerare il 6 gennaio come l’inizio di un nuovo capitolo della nostra storia», si legge sull’Atlantic.
L’autore dell’articolo, Tim Alberta, cita alcune dichiarazioni che ha raccolto dai sostenitori di Trump da quando è sceso in politica. Ricorda ad esempio di aver parlato con un veterano della Marina militare a una manifestazione in Arizona, un uomo di 65 convinto che «l’America law&order che amavo si sta trasformando in un Paese in cui alcune persone sono al di sopra della legge». Il riferimento in questo caso era a Hillary Clinton, agli immigrati clandestini e altre entità non meglio specificate. «I Democratici vogliono trasformare gli Stati Uniti in un Paese comunista: io dico che dovranno passare sul mio cadavere».
È solo un esempio tra tanti, ma rappresentativo del risentimento e della radicalizzazione di una frangia dell’elettorato, di quella parte di America schierata con Trump a ogni costo: difficile pensare davvero che gli Stati Uniti stiano virando verso un sistema comunista, o che gli immigrati illegali siano al di sopra della legge.
Secondo Tim Alberta, questa retorica aggressiva si era parzialmente stemperata dopo la vittoria di Trump nel 2016, ma già al primo impeachment, nel 2019, «il presidente ha iniziato a comportarsi come se fosse in tempo di guerra». E durante la campagna elettorale del 2020 era ormai evidente che qualcosa era cambiato del tutto: «Un elettore dopo l’altro mi ha detto che c’era stato un complotto per sabotare la presidenza di Trump fin dall’inizio, e ora c’era un complotto segreto per impedirgli di vincere un secondo mandato», si legge nell’articolo.
Ciò che ha reso così assurdo il 6 gennaio, quindi la volontà dei leader repubblicani di depredare le insicurezze e la paranoia assoluta di questi elettori, è anche ciò che potrebbe rendere l’8 agosto così pericoloso.
La perquisizione dell’Fbi rischia di causare una nuova frattura sociale, di accentuare la radicalizzazione degli elettori. Non vuol dire che porterà Trump alla vittoria nel 2024, ma difficilmente fermerà lui o i suoi sostenitori, così convinti di essere vittime di un disegno del Partito Democratico o di chi ne muove i fili.