Gli piacerebbeTrump non è vittima di una persecuzione politico-giudiziaria

Nonostante le dichiarazioni dell’ex presidente americano, il raid dell’Fbi nella villa di Mar-a-Lago è solo la dimostrazione che gli Stati Uniti non sono una Repubblica delle banane. Negli Stati Uniti nessuno è al di sopra della legge e chi commette reati deve risponderne

AP/Lapresse

È stato Donald Trump per primo a dichiarare pubblicamente che la sua villa di Palm Beach, in Florida, è stata perquisita dagli agenti dell’Fbi. Ha provato a vestire i panni del martire, dicendo che gli agenti hanno sequestrato alcuni documenti e avrebbero anche fatto dei controlli nella sua cassaforte. Si è dipinto come un uomo perseguitato dalla giustizia – un cliché già visto anche altrove – e ha voluto vendere questa situazione come un tentativo di minare una sua eventuale e legittima candidatura alle presidenziali del 2024.

La ricostruzione della perquisizione avvenuta nella notte tra lunedì e martedì nell’enorme villa chiamata Mar-a-Lago – la principale residenza di Trump dalla fine del mandato presidenziale – si può leggere qui. È però importante notare che questa storia si inserisce in una lunga serie di questioni legali in cui è coinvolto Trump, tra cui l’indagine del Dipartimento di Giustizia sul suo tentativo di ribaltare l’esito delle elezioni presidenziali del 2020.

Proprio lunedì Axios aveva pubblicato delle foto che mostrano dei documenti strappati, gettati in un gabinetto. Nelle ultime settimane negli Stati Uniti si è parlato molto dell’abitudine di Trump alla distruzione di documenti per la sicurezza interna relativi all’insurrezione del 6 gennaio 2021.

Lo scorso gennaio (2022) l’Fbi ha mandato alcuni funzionari a Mar-a-Lago a riprendere una quindicina di scatoloni contenenti documenti ufficiali. Un mese dopo ha chiesto al dipartimento di Giustizia di avviare un’indagine in merito: tra i documenti ritrovati alcuni erano effettivamente relativi all’assalto al Congresso del 6 gennaio. Trump avrebbe strappato quei fogli, che in seguito sarebbero stati ricomposti dai suoi collaboratori con il nastro adesivo.

Si tratterebbe di documenti coperti da vincolo di segretezza. Va chiarito se prima di lasciare la Casa Bianca, l’ex presidente abbia tolto il vincolo di segretezza da questi documenti: se lo avesse fatto col contenuto delle scatole non sarebbe perseguibile penalmente.

Della perquisizione in casa sua, Trump si è lamentato: «Niente di simile è mai successo prima a un presidente degli Stati Uniti. Dopo aver lavorato e collaborato con le agenzie governative competenti, questo raid senza preavviso nella mia casa non era necessario né appropriato», ha scritto in una nota. «È una cattiva condotta dell’accusa e un attacco dei Democratici della sinistra radicale che non vogliono che mi candidi alla presidenza nel 2024, soprattutto sulla base dei recenti sondaggi».

Ha anche azzardato un paragone con il caso Watergate, quando gli agenti fecero irruzione nella sede del Comitato Nazionale Democratico, quartier generale del Partito Democratico. Forse dimenticando che in quel caso l’irruzione fu illegale e non condotta da agenti delle forze dell’ordine con mandati approvati dalla magistratura, come invece è avvenuto in questo caso.

Alla sua protesta si sono uniti alcuni Repubblicani che lo sostengono. Il governatore della Florida, ad esempio, ha criticato i metodi esagerati degli agenti federali, sottolineando che con altri – cita Hunter Biden – è stato tenuto un trattamento differente e più morbido, per poi aggiungere una chiosa finale: «Repubblica delle banane».

È curioso che a parlare di Repubblica delle banane siano esponenti del partito repubblicano e sostenitori di Trump, il presidente che più di tutti si è sentito al di sopra della legge e si è comportato come un uomo forte, con un atteggiamento che ricalca quello tipico e un po’ stereotipato del caudillo sudamericano.

A febbraio 2020, nella newsletter della Cnn “What Matters”, l’analista politico Zachary B. Wolf scriveva che «l’effetto più insidioso della presidenza di Donald Trump è stata la sua influenza sempre più evidente sulla giustizia americana: il sistema statunitense si regge sul principio che nessuno è al di sopra della legge, nemmeno la persona più potente del Paese. Ma Trump ha costantemente scalfito questo valore».

Ieri David A. Graham sull’Atlantic ha detto che «Trump ha ragione quando dice che niente di simile è mai successo prima a un presidente degli Stati Uniti, ma si sbaglia su cosa sia lo Stato di diritto negli Stati Uniti e si sbaglia quando dice che tutto questo è da Repubblica delle banane».

Perché il presidente che più di tutti si è comportato come se fosse un capo al di sopra della democrazia americana è stato proprio Trump: in certi momenti ha provato a governare con pugno di ferro – vedi il trattamento riservato alle famiglie di immigrati al confine con il Messico –, ha provato ad aggirare la Costituzione e il Congresso. Forse in una vera Repubblica delle banane l’avrebbe scampata, sarebbe rimasto al potere o uscito di scena impunito.

Invece è stato messo sotto accusa; un procuratore distrettuale in Georgia continua a indagare sulla sua ingerenza nel conteggio dei voti dopo le elezioni; il procuratore generale di New York sta indagando sulla sua società privata; il Dipartimento di Giustizia dovrebbe presentare presto l’esito delle indagini sul suo coinvolgimento nei fatti del 6 gennaio 2021.

«Trump non è vittima di persecuzioni politiche», ha scritto Graham sull’Atlantic. «Un principio fondamentale del diritto americano è che nessuno, nemmeno il presidente, tanto meno l’ex presidente, è al di sopra della legge e se commette crimini deve risponderne».

In più, Trump non è ancora stato accusato di un crimine. E se dovesse esserlo, avrà la possibilità di difendersi in tribunale. Com’è normale che sia. Solo che lui prova a dirsi vittima di una persecuzione, di un disegno ordito per incastrarlo e impedirgli di candidarsi alle elezioni di una democrazia.

Ma secondo il Washington Post, l’eventuale occultamento di documenti governativi dovrebbe essere l’ultima delle preoccupazioni legali dell’ex presidente: «Il procuratore generale Merrick Garland sembra finalmente poter perseguire Trump per il tentato colpo di Stato che lui e i suoi co-cospiratori hanno cercato di organizzare dopo aver perso le elezioni presidenziali del 2020: l’elenco delle accuse penali potrebbe includere cospirazione sediziosa, cospirazione per frodare gli Stati Uniti e ostruzione dei procedimenti ufficiali. Le scelte di Garland nei prossimi mesi avranno conseguenze importantissime, soprattutto perché dovrebbe ricordare a tutti che nessun presidente è al di sopra della legge».