E voi, come avete passato l’estate? (È agosto: l’estate è finita, è una regola della quale spero siate al corrente). Io a discutere di “Poco Ricco”. È cominciata a Ragusa, a un festival letterario, a una tavolata alla quale qualcuno magnificava il virologo fatto da Checco Zalone a Sanremo. Io e un altro tizio (retrospettivamente: eroici portatori di verità) abbiamo detto: sì, ma volete mettere “Poco Ricco”.
Col tono di chi sta dicendo un’ovvia verità, uno scrittore ci ha spiegato che “Poco Ricco” era per pochi. Che era, come dicono quelli che fanno la tv, stretta. Selettiva. Esigente. Per un pubblico disposto a capire i livelli di lettura. Io e l’altro eroe ci guardavamo attoniti: “Poco Ricco”? Una presa per il culo del marito della Ferragni? Troppo sofisticata? La comicità popolare quale sarebbe, «ce l’ho qui la brioche»?
(La sera in cui Luca Medici portò Checco Zalone a Sanremo, e oltre a Checco Zalone ci portò Ragadi, il rapper che sentiva ancora le ferite di quand’era poco ricco, scrissi su queste pagine che era una presa per il culo di Marracash. Poi un uomo di genio mi fece notare che «la vita non ha senso a tre chilometri da Brera» dava all’io narrante una geolocalizzazione ben precisa: CityLife).
E voi, come avete passato il sabato pomeriggio? Io a dire «sì, ma “Poco Ricco”?» nel backstage del JovaBeachParty, a Barletta, coi presenti equamente divisi tra quelli sovreccitati (c’è Checco Zalone!) e quelli che si davano un tono (li riconoscevi perché si riferivano a lui come «Luca»).
Quando si sono messi a provare altre canzoni, e ho capito che non avrebbero fatto “Poco Ricco”, mi sono resa conto che la maledizione estiva non era finita (d’altra parte era il 30 luglio). Infatti, dopo Ragusa, era stato un contagio: chiunque sentiva di dovermi dire «eh ma “Poco Ricco” è per pochi», facendomi ammattire. Ma quindi era per quello che non l’avevano prevista quella sera? Perché eravamo diventati un pubblico così scemo da non capire cosa ci fosse da ridere nel padre del rapper poco ricco che va a puttane «in viale Monza, quelle a venti euro, basse, con la panza», e quando il figlio fa carriera finalmente diventa «un uomo eccezionale: va a puttane dentro il Bosco Verticale»?
E voi, come avete passato la settimana scorsa? Io a ripensare alla perfettissima scena della cardiologa del Carrefour. La cardiologa del Carrefour era una bionda con le cuffie nelle orecchie, e un cane più grande di lei e ovviamente senza museruola, che una settimana fa faceva la spesa alla mia stessa ora. Vorrei sapervi dare la misura di quanto mi raccapriccino i cani. Non è neanche colpa loro, porelli: se solo vivessero in riserve per cani, e non ci fossero umani così disperati da metterseli in casa e quindi poi portarli al supermercato, non mi darebbero nessun fastidio. Umani che se gli dici di tenere al guinzaglio l’animale quasi sempre rispondono «Ha paura? Ma è buonissimo», facendomi venir voglia di prenderli a testate sul naso. La cardiologa no.
La cardiologa – che a questo punto della storia ancora non so essere tale – quando le dico «non mi si avvicini con quell’arnese senza museruola» si offende tantissimo per «arnese», e inizia a urlare e non smette finché non esce dal supermercato.
Brevi estratti dell’ira funesta della signora. «Lei è una cretina deficiente, e glielo dico da medico» (intravedo in effetti doti diagnostiche). «La museruola deve mettersela lei, se era un bambino diceva mettiti la museruola?» (in effetti che i bambini vadano portati in giro con la museruola è un progetto legislativo interessante). «Sta pieno di tossici con le siringhe e lei pensa al cane» (giuro che tra i polli arrosto e i detersivi non c’era Cristiana F., o almeno io non l’ho vista).
Quando mi dice «io sono cardiochirurgo, è fortunata che devo andare a lavorare sennò gli facevo una denuncia per diffamazione», vacillo. Quindi la signora (scusate: dottoressa) pensa che il cane, figura giuridica, sia stato diffamato dal mio «arnese», e fin qui pazienza: è cardiochirurgo, mica cassazionista. Mi piacciono i registri dialettali, e quindi non faccio un plissé su «sta pieno»; ma ho un fremito sull’uso di «gli» al posto di «le». Mentre i cassieri vorrebbero sotterrarsi per l’imbarazzo, dico alla dottoressa «“Le” ho detto, non “gli”: dovrebbe aver concluso le elementari, prima della specializzazione». Ella tiene il punto: «Ho detto “gli” perché gli sto dando del lei».
Ci ripenso da una settimana. Abbiamo tirato su, nel Paese in cui chiunque può prendere 30 a qualunque esame, una classe dirigente che è il personaggio di Elide Catenacci in “C’eravamo tanto amati”: parla a orecchio la lingua con cui è cresciuta, figuriamoci come farà gli interventi a cuore aperto. Pensa che se mi dai del lei tu debba usare “gli”: come farà a ridere quando Checco Zalone fa il verso a ignoranti che sono comunque meno ignoranti del pubblico colto?
Elide Catenacci faceva ridere perché, quando diceva «non pozzo magna’ idrocarburi», il grande pubblico sapeva che avrebbe dovuto dire «carboidrati»: l’istruzione obbligatoria non era ancora un istituto fallimentare. Oggi, che influencer da milioni di cuoricini dicono «mi sono addormentata profondamente, sono caduta in una catarsi», nessuno svarione fa più ridere, giacché nessuno svarione è riconosciuto come tale. Certo che “Poco Ricco” è selettiva: ma forse per gli adulti di questo secolo sarebbe stretto anche Totò, forse si può solo far scivolare della gente su delle bucce di banana, forse la comicità più sofisticata che ci possiamo permettere è “Paperissima”.
Sabato pomeriggio, mentre tutti cominciavano a scansarmi (fingiti impegnato, sta arrivando quella che rompe i coglioni chiedendo perché non facciamo “Poco Ricco”), le risposte alla mia disperazione variavano. Luca Medici (che ieri sera andava a Benevento a fare “Uomini sessuali” con De Gregori; chissà il pubblico di questo secolo cosa capisce, degli uomini sessuali che non hanno gli assorbenti però hanno le ali: la considereranno transfobica?) prima provava a cavarsela con una battuta («Eh no, poi mi scatta il cachet»), poi diceva «ma non ha un ritornello», poi «non mi ricordo le parole».
L’autore che scrive con Medici diceva che era una canzone da teatri; le altre piccole fan dicevano che non se la sentivano di minacciare di abbandonare il concerto se non ci veniva promessa “Poco Ricco” (la rivoluzione non la fa chi la deve fare, mica possiamo farla noialtri con l’open bar); e io continuavo come un’ossessionata a ripetere: mi state dicendo che il pubblico non la capisce, il pubblico non si merita niente ma io sì.
L’unico gesto solidale è venuto da Giuliano Sangiorgi, qualche ora più tardi sul palco, quando Checco Zalone si è guardato nello schermo gigante e ha detto «sono figo», e Sangiorgi ha prontamente servito lo spunto: «Sei poco ricco ma molto figo»; ma niente, nessuno ha raccolto, e io e i trentamila immeritevoli in spiaggia siamo rimasti senza Ragadi.
E voi, come avete passato il sabato sera? Io a osservare il pubblico di Barletta impazzire di gioia quando Gianni Morandi e Giuliano Sangiorgi e Lorenzo Jovanotti si sono lanciati in “Fatti mandare dalla mamma (a prendere il latte)”. Invece di squarciagolare anch’io come avrei dovuto, mi sono distratta a pensare a cosa succederebbe se Morandi quella canzone la incidesse oggi. Quanti commenti su Instagram, editoriali sui giornali, indignazioni delle militanti: tu digli a quel coso che sono geloso, che se lo rivedo gli spaccherò il muso. Senso del possesso patriarcale, indizi di prossimo femminicidio, maschilismo tossico: il processo a Morandi andrebbe in onda a reti unificate. Per fortuna tra quelli che squarciagolano sulla spiaggia di Barletta nessuno si sofferma sul significato delle parole: vanno a orecchio, saranno tutti cardiochirurghi, ignari di cosa ci sia a tre chilometri da Brera.