Questione di chimicaQuelli che credono che la cura della psiche sia un tabù e invece è un totem

In centotredicimila, a forza di leggere e sentire che c'è uno stigma sulla psicanalisi (i cui professionisti stanno in tv e in libreria più dei cuochi), si sono convinti d'aver bisogno del bonus psicologo: siamo il nostro trauma

di Giorgio Trovato, da Unsplash

È uno strano periodo per le notizie che riguardano la psiche – o, come la si chiama in doppiaggese, la salute mentale. In Italia i giornali riportano che all’Inps siano arrivate 113mila domande per accedere al bonus psicologo, cioè a seicento euro per pagarsi le prime sedute, quelle in cui lo psicologo neanche comincia a ricordarsi come ti chiami. La polemica sarebbe: ci sono soldi per finanziare solo sedicimila bonus.

In America i giornali riportano che si è scoperto che la depressione non è uno squilibrio chimico, e quindi aveva sempre avuto ragione Tom Cruise (mica penserete che la stampa italiana abbia l’esclusiva del buttarla in vacca, non foss’altro perché certi articoli sono complicati da illustrare e metterci dentro il nome d’una celebrità ti risolve il problema iconografico).

A commento della notizia italiana, la polemica non è: ma forse centomila e più persone che ritengono urgente andare a curarsi la psiche sono la prova che abbiamo negli ultimi anni praticato un lavaggio del cervello di massa, convincendo i meno attrezzati intellettualmente che ogni inciampo sia un’invalidità.

A commento della non notizia americana, la polemica non è: ma veramente quello uscito adesso è un collage di studi già noti, se si cercano quelli pubblicati che decostruiscono il legame tra serotonina e depressione se ne trovano di addirittura diciassette anni fa, va bene il diritto all’oblio ma questo sembra più il giorno della marmotta.

Oltretutto, l’intervista di Matt Lauer a Tom Cruise (anche quella del 2005: stai a vedere che il tizio di Mission: Impossible legge le riviste scientifiche più dei giornalisti scientifici), finora usata come prova che Tom era un povero picchiatello, e ora altrettanto a casaccio usata come prova che ci vedeva lungo, non è il delirio mistico di uno che siccome Scientology proibisce gli psicofarmaci ne parla male. È l’esagitato ma ragionevole discorso di uno che dice che imbottire i bambini di Ritalin e Adderall non è un’ottima idea: lo pensavamo anche noi, prima di decidere che dell’America volevamo copiare le fissazioni e non gli stipendi. Prima di imparare parole come «stigma» e «normalizzare».

La cantante che viene messa in copertina dal settimanale dice «in questo paese la salute mentale è un tabù. Perché mai se mi rompo una gamba vado dall’ortopedico e se ho un problema nella testa devo vergognarmi di farmi aiutare ad aggiustarlo?». Ci crede davvero? Pensa davvero che, nel 2022, quando sono (almeno) trent’anni che Crepet e Morelli sono in televisione tutti i giorni, e Recalcati se pubblica un libro di pagine bianche va comunque in classifica, ci sia in Italia un tabù su psicanalisi e dintorni? O pensa che se dicesse «vado in analisi, come tutti quelli che non lavorano in miniera e quindi hanno molto tempo per pensare a sé stessi» non la metterebbero in copertina?

La coppia più famosa della nazione, che le sue sedute di terapia di coppia le fa addirittura filmare per una serie televisiva, dice che lo fa per «normalizzare» la psicoterapia. Come sopra: al netto dell’ormai nullo valore della parola «normalizzare» (s’invoca la normalizzazione di tutto, persino del ciclo mestruale: militanti postmoderniste fotografano il sangue colato e vogliono convincerci che non sia esibizionismo, macché: è che, finché non sono arrivate loro, il fatto che le mammifere sanguinassero non era mica normale), è davvero impossibile dire la verità? «L’abbiamo messo in onda perché funziona, come i bambini biondi, come il parlare delle funzioni corporali; l’abbiamo messo in onda perché dice fortissimo anche-i-ricchi-piangono: non è normalizzazione, è che fingersi normali è il modo più affidabile per ottenere redditi speciali».

Sì, sono domande retoriche, come d’altra parte è retorico chiedere perché si finge sia nuovo uno studio che riassume quel che gli specialisti sanno da sempre: che nessuno sa bene come funzionino gli psicofarmaci. Perché, quando Foster Wallace provò a cambiare quello che usava e poi tornò indietro, quello vecchio non gli funzionava più al punto da ammazzarsi? Non si sa, giacché non hanno ancora capito come funziona il cervello, che è un organo – figuriamoci la psiche, che è un’astrazione.

In un’epoca in cui la narrativa della pandemia si è strutturata attorno a slogan assurdi quali «mi fido della scienza», è difficile far capire che non sapere un cazzo è parte del metodo scientifico: ti fai delle domande, trovi delle risposte, perfezioni le domande, migliori le risposte, cambi le tesi quando i fatti le smentiscono, e metti in discussione tutto in continuazione: il contrario di «mi fido». Ma tranquilli: ora ci pensa l’Inps a normalizzare le certezze.

Il fatto è che se c’è un modo per non risolvere (scusate: normalizzare) i problemi è costruirci un commercio attorno, che è la principale attività del postmodernismo attorno a quel totem che è il trauma. Ti hanno scritto «brutta cessa» sui social? Hai bisogno d’un avvocato, eccoti qui una lista di studi legali specializzati nel fare causa agli hater (il termine con cui in neolingua si chiamano quelli abbastanza scemi da notificarti la loro antipatia). Trent’anni fa si sono dimenticati di venirti a prendere a scuola? Hai bisogno d’uno psicologo, mica vorrai sottovalutare la vulnerabilità che questo trauma ti ha lasciato. Non ti va di depilarti? Compra il nostro bagnoschiuma, che ti accetta anche pelosa e ti trova bellissima così come sei.

Che sia a spese dei contribuenti o coi tuoi risparmi, devi solo strisciare la carta, e io avrò cura di te e dei fallimenti che per tua natura normalmente attirerai: ancora non sai quanto ne hai bisogno, ma ora te lo spiego io, sono qui per te e per la tua salute mentale. 

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