Franca Sozzani (1950-2016) era iconica. Amata non soltanto dal mondo della moda, ma interpretata come una figura trasversale, ammantata di bellezza, charme e istrionica sagacia. Chi non darebbe qualcosa per poter indossare un suo capo di abbigliamento, sbirciare dentro al suo guardaroba e rivedere gli abiti con cui è stata immortalata all’interno della memoria collettiva?
Se rientrate in questo gruppo, prendete nota: da giovedì 16 settembre al 30 ottobre la Fondazione Franca Sozzani (corso Como 10) apre al pubblico una selezione di vestiti, scarpe e accessori per dare la possibilità di rivivere il suo stile, il suo gusto, la sua presenza, ma anche per consentire di aggirarsi all’interno di una dimensione dedicata alla moda completamente diversa da quella a cui siamo normalmente abituati.
Un’intera sezione è dedicata al vintage, che Franca Sozzani amava molto – a Londra era solita andare a rifornirsi di stampe, tessuti e oggetti nei flea market insieme alla sorella Carla. «La bellezza del vintage sta nel poter mescolare il vecchio con il nuovo, pezzi del passato con designer più recenti, e mescolarli insieme, creando uno stile che non appartiene a nessun altro», diceva.
Nel 2014 ha dato vita al VintageProject, un negozio permanente dei più importanti marchi di moda con l’obiettivo di raccogliere fondi in favore dello Ieo (Istituto europeo di oncologia), di cui era presidente. Un’ulteriore prova della sua ecletticità, che esercitava quotidianamente all’interno della redazione di Vogue, di cui è stata direttrice dal 1988 al 2016.
È stata infatti foriera di insospettabili prese di posizione e slanci coraggiosi, quando ancora la moda si rivolgeva a una élite dai parametri verticali e imbalsamata, fiera della propria altisonante vanità. Franca Sozzani parlava di diritti civili, di sostenibilità e di femminismo: temi che mescolava, coinvolgeva e accorpava al mondo delle immagini. Tutti ricordano le copertine Vogue che fecero scalpore in anni insospettabili: nel 2010 Kirsten McMenamy viene fotografata da Steven Meisel come una sirena travolta dal petrolio per denunciare la marea nera che dilagava dal Golfo del Messico e l’impatto dell’uomo sull’ambiente. Nel 2013 una ragazza asiatica fa il suo primo ingresso come modella in prima pagina.
Gli abiti in mostra sono in vendita per beneficenza, per incentivare la passione al ricircolo del vestiario, principio in cui lei credeva fermamente e così essenziale in un’epoca segnata dalle imminenti catastrofi climatiche. Gli obiettivi del futuro guardano a un’economia, a un consumo, a una produzione di prossimità. Franca Sozzani lo aveva già capito.
Grazie alla collaborazione con la principale piattaforma NFT phygital Web3 dedicata all’arte e alla moda SPIN by lablaco, 25 pezzi sono dotati di etichetta NFT, da cui sarà possibile leggere la storia dell’abito e i vari passaggi di proprietà.
Un ulteriore salto che collauda la sartoria e i vestiti come oggetti dotati di una sacralità e di un fine artistico quanto vere e proprie opere, e contribuisce a diffondere la digitalizzazione e la circolarità della moda e dell’arte insieme.
Oltre agli abiti che amava indossare all’interno di note occasioni pubbliche, disegnati da Azzedine Alaïa, Prada, Yves Saint Laurent, Gucci, Valentino, Miu Miu, Alberta Ferretti, insieme alle immancabili Manolo Blahnik, compaiono anche diverse opere d’arte e di fotografia della sua collezione privata, tra cui figurano Vanessa Beecroft, Peter Lindbergh, Mats Gustafson, Steven Meisele Takashi Murakami. Gli introiti saranno destinati al Franca Sozzani Fund for Preventive Genomics, Harvard Medical School.