Per il momento, Giorgia Meloni spaventa meno di Matteo Salvini. Dopo la chiusura come peggiore d’Europa di venerdì scorso, Piazza Affari saluta al rialzo la vittoria netta della coalizione di centrodestra e il primato di Fratelli d’Italia. Con lo spread tra Btp e Bund che reagisce senza grossi scossoni.
Il risultato delle elezioni politiche italiane era previsto. L’incertezza del 2018, che innescò quasi subito una reazione sui mercati, oggi appare lontana. Lo scenario, almeno sulla carta, sembra più stabile di quasi cinque anni fa. Contano molto le rassicurazioni di Meloni sulla necessità di evitare altri scostamenti di bilancio e spese eccessive, al contrario di Salvini. Conta l’inversione di marcia della leader di Fratelli d’Italia da una linea politica più dura a una più moderata, in particolare nelle ricette economiche. Tanto da esser stata definita «draghiana».
A conti fatti, per tenere in piedi questa pur precaria stabilità, la “Melonomics” dovrà portare avanti gran parte della famosa «agenda Draghi», rispettando i vincoli di bilancio e le scadenze del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma soprattutto depennando molte delle promesse fatte in campagna elettorale, in particolare dai suoi alleati. Dalle mirabolanti pensioni minime a mille euro di Silvio Berlusconi alla flat al 15% per tutti di Matteo Salvini.
L’Italia si avvia verso una potenziale recessione. Gli ultimi dati dell’Ocse rivedono al rialzo le previsioni di crescita di quest’anno, con un +3,4% del Pil. Ma nel 2023 l’orizzonte si fa fosco, con un solo +0,4% sul 2023, vale a dire un taglio di 0,8 punti percentuali rispetto alle ultime previsioni.
Gli analisti si aspettano ora che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dia al centrodestra l’incarico di formare un nuovo governo e che Giorgia Meloni sia la candidata premier. Nel frattempo, il mondo economico resta attendista contando sul fatto che Mario Draghi avvii la stesura della legge di bilancio del 2023. In attesa che si faccia maggiore chiarezza poi su chi verrà chiamato a ricoprire ruoli chiave nel nuovo governo, dall’Economia agli Esteri.
Nei giorni prima del voto, Meloni ha provato a indicare per il Tesoro un nome che potesse rassicurare Bruxelles e i mercati. Si sa che durante l’estate ha contattato Fabio Panetta, componente del comitato esecutivo della Bce, ricevendo un rifiuto perché l’economista preferirebbe continuare la sua carriera di banchiere centrale.
La scelta del titolare del Mef è sempre la scelta più ardua per ogni governo. E la strada per il prossimo inquilino di Via Venti Settembre è tutt’altro che in discesa. Il banco di prova, si sa, sarà l’approvazione della legge di bilancio entro la fine dell’anno, da cui usciranno indicazioni sul deficit e sul debito pubblico, rilevanti per capire la direzione del governo in un momento in cui dalla Bce è stata avviata la stagione di aumento dei tassi di interessi per contenere l’inflazione.
Il conto della manovra parte già con un’ipoteca di circa 25 miliardi. Si dovrà considerare anzitutto un aumento della spesa per interessi: i Btp a dieci anni ai tempi del Def rendevano poco più del 2%, ora viaggiano stabilmente oltre 4%. C’è poi la rivalutazione delle pensioni, circa 8-10 miliardi più del previsto. E se l’inflazione crescente aiuta ad abbassare il peso del debito, grazie alle maggiori entrate fiscali, nel 2023 lo farà meno rispetto a oggi a causa della frenata dell’economia. Senza dimenticare che la manovra si troverà di fronte anche un muro di spese quasi obbligate, tra bonus e aiuti fiscali.
Il ministro dell’Economia uscente, Daniele Franco, sta ultimando la Nota di aggiornamento al Def, da presentare entro il 27 settembre. Il governo Draghi si limiterà a compilare solo la parte tendenziale, non quella programmatica, lasciando al prossimo esecutivo la decisione finale.
Il documento programmatico di bilancio, poi, per legge va inviato a Bruxelles entro il 15 ottobre. Il governo Draghi avrebbe volentieri lasciato il compito al nuovo esecutivo, ma sarà obbligato a scriverlo perché il nuovo governo entrerà in carica la prima settimana di novembre. A quel punto sarà una corsa contro il tempo per scrivere la manovra da approvare in Parlamento entro il 31 dicembre, pena il ricorso all’esercizio provvisorio.
Dopo anni di politiche espansive, gli spazi di fare nuovo deficit sono di fatto finiti. Anche perché la Bce subordina l’applicazione dello scudo anti spread al mantenimento in ordine dei conti pubblici e al raggiungimento degli obiettivi del Pnrr. I mirabolanti annunci di Meloni sulla necessità di modifica del piano europeo, nella virata moderata della leader si sono trasformati in «aggiornamenti mirati» alla luce della crisi dovuta al conflitto in Ucraina e all’aumento dei prezzi delle materie prime.
La Commissione europea ha in programma a novembre un nuovo check sui nostri conti pubblici. E anche in un contesto di rallentamento della crescita, occorrerà mantenerli in ordine. L’esame, tra l’altro, avverrà in parallelo con la prossima legge di bilancio.
Per ottenere qualche spazio risicato di manovra e far fronte agli effetti del caro energia, servirà una politica tutt’altro che urlata. Non sarà difficile mettere a tacere Salvini, vista la disfatta della Lega arrivata a malapena al 9%. E non sarà difficile neanche tenere a bada Silvio Berlusconi. Il distacco tra il 26% di Meloni e i suoi alleati è netto. «Responsabilità» è stata una delle prime parole della leader di Fratelli d’Italia dopo i risultati. I vincoli di bilancio e il rispetto degli obiettivi del Pnrr non possono essere disattesi.
Checché abbia promesso ai suoi elettori in campagna elettorale, Meloni non può certo rinunciare alla terza tranche di fondi del Pnrr. Sono 19 miliardi che arriveranno solo se il nuovo governo raggiungerà 55 obiettivi entro fine anno.