CO2 e intellettoLa crisi climatica ci renderà tutti più stupidi

L’elevata concentrazione di anidride carbonica a cui siamo esposti ha conseguenze rilevanti sulle nostre capacità cognitive. A livello pratico, si traduce in una perdita delle capacità di calcolo, di capacità di astrazione, di progettazione del futuro. E anche in una diminuzione della creatività

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Fateci caso: la maggior parte delle nostre giornate si svolge in ambienti chiusi dove spesso, insieme a noi, ci sono altre persone. A volte molte altre persone. Ecco, trascorrere così tanto tempo in un luogo chiuso condiviso con altri soggetti espone il nostro cervello a delle quantità di gas alle quali non è abituato. E oggi sappiamo inoltre che gli effetti della sovraesposizione del nostro corpo alla CO2 sono impattanti anche sulle nostre capacità intellettive. A confermarlo è uno studio condotto da Strobilo, un’azienda di neuroscienze applicate il cui scopo è quello di definire scenari predittivi a partire da quelle che sono le relazioni tra gli esseri umani e il pianeta terra. Ne abbiamo parlato con il co-founder e chief scientist Andrea Bariselli, conduttore anche di un podcast, A Wild Mind, in cui indaga proprio l’interazione tra cervello e ambiente. 

Com’è nata l’idea di studiare gli effetti della CO2 sul cervello umano?
«Diciamo che durante i due anni di Covid il veicolo aria è stato studiato in maniera sovrabbondante: questo ci ha regalato un sacco di letteratura e permesso di capire effettivamente una serie di cose che prima sottovalutavamo, come ad esempio gli effetti neurocognitivi dei gas sul nostro cervello, tra cui chiaramente anche la Co2. Studi del genere non sono nuovi, ma adesso le cose stanno iniziando a diventare estremamente evidenti, soprattutto nell’ottica di reimmaginare gli spazi che vivremo: la situazione è molto più pesante di quanto immaginavamo». 

Cioè?
«Le conclusioni sono piuttosto semplici: il nostro sistema biologico è basato su una certa condizione ambientale, che è rimasta stabile per diversi millenni e che poi, negli ultimi 50-70 anni, è cambiata in maniera repentina. Noi come genere umano non abbiamo la minima capacità di adattarci in così poco tempo a condizioni ambientali del tutto nuove, in parole povere, non siamo preparati a vivere nell’ambiente che ci ospita. Per dare qualche riferimento in termini numerici basti pensare che noi ci siamo evoluti con una concentrazione, nell’atmosfera, di 280 parti per milione di CO2, oggi ne abbiamo circa 422, ovvero quasi il doppio. Non solo: quando partecipiamo a un meeting in una stanza chiusa, ad esempio, o a scuola, raggiungiamo la soglia di oltre le 2000-2500 parti per milione, esponendo il nostro cervello a una quantità di gas folle, che non è abituato a gestire». 

In concreto, quindi, cosa accade? 
«È come se il nostro sistema avesse una piccola asfissia, andasse in sofferenza: ecco che, senza che ce ne rendiamo minimamente conto, noi accusiamo una diminuzione delle nostre capacità cognitive, che può arrivare fino al 50%».

Questo come si traduce al livello pratico?
«Si traduce in perdita di capacità di calcolo, ma anche della capacità di astrazione, di progettazione del futuro, o in una diminuzione della creatività: queste sono tutte abilità deputate a una parte specifica del cervello, che è il lobo frontale e che risente tantissimo di questa scarsità di ossigeno e saturazione di CO2». 

Com’è possibile non accorgersi di niente?
«Il nostro cervello non vede queste particelle gassose, quindi non avverte la situazione di pericolo, e poi c’è anche un altro aspetto da considerare, l’effetto paradosso. Il cervello, quando si accorge di andare in sofferenza, cerca di esasperare in maniera adattiva quelle che sono le componenti di focalizzazione: quindi la sensazione che avvertiamo è quella di essere particolarmente attenti a quello che stiamo facendo, ma in realtà è tutto un bluff. È come se, per non farti sentire vulnerabile, il tuo cervello sparasse tutte le attività al massimo». 

Come siete arrivati a questo risultato?
Facendo delle misurazioni e poi unendo la letteratura esistente a nuovi test fatti ad hoc, anche sulla base di richieste da parte di strutture come gli uffici, che oggi stanno ripensando completamente i loro spazi. Da queste richieste si è aperto un mondo, perché è come scavare: più vai in profondità e più scopri nuove piste da seguire. Io ora mi sto focalizzando sulla Co2, perché è l’aspetto più evidente, ma quello che a noi interessa è la complessità del sistema ambientale. Anche perché bisogna tenere conto di una cosa: nel momento in cui il nostro cervello effettua il bilancio energetico, non è consapevole di quello che stai facendo: che tu stia lavorando, guidando, o che sia a cena fuori con gli amici, lui lo fa in automatico prendendo le informazioni da fuori e basandosi su quello che gli dicono gli organi di senso. Se le condizioni dell’aria, dell’umidità e di quello che ci sta intorno non sono ottimali, lui continua a sforzarsi per bilanciarle e questo sforzo determina la perdita delle capacità cognitive. Faccio un esempio pratico: noi siamo a somma 100, questo vuol dire che se una parte delle nostre risorse viene impiegata per bilanciare il fatto che in una stanza ci sono 26 gradi, che l’aria è secchissima, che c’è troppa Co2 e che siamo seduti da 10 ore, è evidente che non ce ne saranno a sufficienza per far funzionare le nostre abilità cognitive a pieno regime». 

Praticamente ha descritto la giornata lavorativa standard di una grossa fetta di popolazione…
«È un problema connaturato al sistema che abbiamo creato, ma questo non vuol dire che non si possa correre ai ripari. Il sistema fognario ad esempio, che oggi diamo per scontato, è stato creato nell’800 per difendere la popolazione dall’acqua contaminata, che portava il colera. Se non sei disposto a bere dell’acqua contaminata, perché dovresti essere disposto a respirare dell’aria contaminata? Il problema sta tutto nella mancanza di consapevolezza. Gli ambienti lavorativi, o dove si svolge l’attività sociale, che noi consideriamo adeguati, in realtà non lo sono per niente, ma è qualcosa di molto difficile da scardinare, quindi ci vorrà del tempo. Come diceva Karl Popper “Non sarà il dato che farà cambiare opinione alla gente, ma il dramma personale”». 

Quali sono altre conseguenze negative sull’organismo dell’alta concentrazione di CO2?
«L’alta concentrazione di Co2 incide moltissimo sulla nostra salute: può provocare disturbi di tipo metabolico, cardiovascolare, ma ha effetti molto forti anche sull’umore. Ormai sappiamo quale sia l’effetto benefico del verde sugli esseri umani ma, siccome non possiamo trascinare tutta la popolazione al parco per un’ora al giorno, dobbiamo trovare altri tipi di soluzioni». 

Quali soluzioni proponete? 
«Noi siamo implicati in moltissimi progetti di urbanistica e progettazione e, sapendo l’apporto benefico che alcune molecole gassose hanno sul nostro corpo, proponiamo di inserirle nella progettazione di determinati spazi, come quelli dedicati al commuting, che vede coinvolte le persone tutti giorni magari per molti anni di seguito. Un’altra delle cose che facciamo, ad esempio, è creare degli algoritmi in grado di dialogare con la domotica: nel momento in cui, nella casa o nell’ufficio, la concentrazione di elementi negativi diventa troppo alta, vengono messe automaticamente in atto strategie contrarie, come la purificazione dell’aria o la ventilazione forzata».

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