L’invasione militare della Russia in Ucraina e la conseguente guerra iniziata il 24 febbraio hanno dato un forte scossone alla politica di difesa di Finlandia e Svezia, due Stati dell’Unione europea che erano da secoli rimasti neutrali e che hanno richiesto di entrare nella NATO.
Al contrario, le cose non sono cambiate per l’Austria, che esibisce il concetto di neutralità nero su bianco nella propria Costituzione. In particolare nell’articolo 9a della carta costituzionale lo Stato «si impegna per una difesa nazionale completa» con «l’obiettivo di salvaguardare la propria indipendenza verso l’esterno e l’unità del territorio federale, in particolare per il mantenimento e la difesa di una permanente neutralità». Un’eventuale modifica della Costituzione richiederebbe una maggioranza dei due terzi del Nationalrat, l’assemblea nazionale che dà la fiducia al Governo.
Il 7 marzo scorso, il Cancelliere austriaco Karl Nehammer ha twittato che la neutralità austriaca «non è in discussione»; anche la Leader del Partito socialdemocratico austriaco (SPÖ), Pamela Rendi-Wagner (ora all’opposizione, Ndr) ha spesso definito la neutralità di Vienna «non negoziabile». Inoltre, stando a un recente sondaggio dell’agenzia stampa APA, sembra non avere dubbi: il 75% degli austriaci è contro l’ingresso nella NATO, solo il 14% sarebbe a favore.
Tutto ciò si spiega dal fatto che, come ha chiarito a Linkiesta Martin Senn, professore di relazioni internazionali all’Università di Innsbruck e alla School of International Studies di Vienna, la neutralità «è un simbolo in grado di trasmettere un’immagine positiva dell’Austria, a dare al Paese una buona reputazione all’interno della comunità internazionale ed è quindi diventata parte integrante dell’identità nazionale».
Nei fatti questo orientamento politico ha contribuito a far riconoscere Vienna come sede ideale per istituzioni internazionali come l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) e una delle due sedi europee dell’ONU (l’altra è a Ginevra, nella neutrale Svizzera).
Le regioni di questa permanente neutralità sono anche storiche e derivano dal Trattato sullo Stato austriaco firmato dal Governo e dai rappresentanti delle forze Alleate nel 1955, in cui si decise l’abbandono del Paese da parte degli eserciti di Usa, Regno Unito, Francia e Urss. Il trattato si basava in gran parte sul Memorandum di Mosca firmato tra Austria e Unione Sovietica. Mosca aveva posto come condizione dell’accordo la neutralità perpetua dell’Austria. Nel testo è sancito esplicitamente che l’Austria «non può aderire a un’alleanza militare, né consentire l’installazione di basi militari straniere sul suo territorio».
Dall’ingresso nell’Unione europea nel 1995, però, il concetto di neutralità è diventato un po’ più labile. Dopo i Trattati di Amsterdam e Lisbona che hanno sancito la nascita della Politica di Difesa e Sicurezza comune dell’Unione europea di cui il Paese fa parte. Nell’articolo 42.7 del Trattato di Lisbona è presente la cosiddetta “clausola irlandese” (anche l’Irlanda è uno Stato Ue neutrale, Ndr) che «non pregiudica la politica di sicurezza e di difesa di alcuno Stato membro» dell’Ue; questo in pratica esonererebbe l’Austria dalla partecipazione ad azioni militari in risposta a un’aggressione di un altro Paese europeo.
Essere neutrali, però, non significa rimanere indifferenti di fronte alla violazione del diritto internazionale compiuta dalla Russia dopo l’invasione militare in Ucraina. L’Austria infatti ha partecipato, in qualità di Stato membro dell’Unione europea, alle sanzioni economiche nei confronti della Russia e ha anche inviato supporto logistico ed equipaggiamenti di difesa all’Ucraina (10.000 caschi, giubbotti antiproiettile e più di 100.000 litri di carburante).
Per questo motivo, come ricorda l’esperto Martin Senn, la visita in persona del cancelliere austriaco Nehammer al presidente Vladimir Putin, avvenuta l’11 aprile scorso – accolta con scetticismo in patria e definita «non amichevole» dallo stesso Nehammer – non è sufficiente a definire l’Austria un «costruttore neutrale di ponti» nell’ambito della guerra in Ucraina
In occasione della Giornata dell’Europa del 9 maggio un gruppo di esperti di strategia militare, ex ministri e politici ha scritto una lettera aperta rivolta al Presidente federale, Alexander Van Der Bellen, al Governo, al Parlamento e alla società civile in cui si definisce la neutralità come «flessibile nella pratica», la cui «convenienza attuale non è stata mai veramente verificata, ma innalzata a mito intoccabile».
Nel testo si chiede espressamente «un dibattito nazionale immediato sulla politica di sicurezza e difesa», mentre al Parlamento si domanda «una legislazione per implementare una nuova dottrina politica di sicurezza». Nessuno degli attuali rappresentanti politici ha dato seguito al dibattito. Ma è chiaro che il momento in cui l’Austria – le cui spese militari nel 2020 erano lo 0,84% del PIL, la metà esatta della media UE (1,6%) – dovrà fare i conti con la sua Storia è più vicino.