Trumpisti italianiMeloni e Conte si scambiano i ruoli ma restano sempre gli stessi

Se a segnare la campagna elettorale fosse stata un’impennata del Covid, anziché la guerra, oggi avremmo Conte a riscoprire la retorica no vax e Meloni a chiedere vaccinazioni obbligatorie anche ai neonati. Siccome invece del Covid è scoppiata la guerra, abbiamo avuto Conte che torna filorusso e Meloni che si riscopre atlantista ed europeista

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L’opposizione di Lega e Fratelli d’Italia, nel Parlamento europeo, al rapporto che condanna l’Ungheria di Viktor Orbán come una «autocrazia elettorale» conferma quanto fondate siano le preoccupazioni per lo Stato di diritto in caso di vittoria della destra. Anzi, se il loro modello è la «democrazia illiberale» di Orbán, più che di timori dovremmo parlare di certezze.

Le parole del segretario di Stato americano Antony Blinken riguardo ai finanziamenti russi per influenzare la politica europea, invece, gettano più ombre che luce. E almeno per il momento aggiungono poco ai numerosi motivi di preoccupazione che avevamo già.

Sul fatto che in Italia buona parte delle forze politiche da anni fossero perfettamente allineate alle posizioni di Vladimir Putin nessuno poteva avere dubbi: bastava leggere le dichiarazioni ufficiali dei massimi esponenti di tutti i maggiori partiti populisti e sovranisti, almeno a partire dal 2014, anno dell’annessione manu militari della Crimea. Allora, per fare solo un esempio, a chiedere la rimozione delle sanzioni, con tutta l’estrema destra europea, in prima linea c’erano Movimento 5 stelle, Lega e Fratelli d’Italia. E con tanta convinzione che i primi due, ancora nel 2018, misero la richiesta persino nel loro contratto di governo (punto 10).

Tra tante ombre e opacità, un’osservazione a suo modo illuminante è venuta invece dall’editoriale di Marco Travaglio sul Fatto quotidiano di ieri. La tesi di Travaglio è infatti che i giornali stiano usando il caso dei dossier americani per colpire «i partiti più odiati dai padroni: Movimento 5 stelle, Lega e Fratelli d’Italia».

Tralasciando per un attimo i grillini, l’idea che i veri nemici dei «padroni» siano due partiti di destra, fedeli alleati di Silvio Berlusconi, uno degli uomini più ricchi d’Italia, può suscitare qualche legittima perplessità, ma non è poi così originale. Al contrario, è un’idea che lo stesso Berlusconi – proprio come il suo più truce epigono americano, Donald Trump – ha spesso fatto propria. In fondo, la tesi secondo cui l’establishment, la grande finanza, i «poteri forti» starebbero con la sinistra è antica quanto la teoria del complotto pluto-giudaico-massonico, non a caso uno degli slogan favoriti del fascismo, e in particolare di quelle sue correnti che più amavano presentarsi come rivoluzionarie e in senso lato “di sinistra”. Un armamentario che si ritrova anche in un certo estremismo di destra degli anni settanta (quello che giocava persino con lessico e parole d’ordine gramsciane) e che oggi prende la forma delle crociate contro George Soros e i deliri para-nazisti sui suoi piani di «sostituzione etnica» (non per niente, tutta roba messa a punto dagli strateghi di Orbán in Ungheria).

In tempi di grande confusione ideologica, questo piccolo excursus è forse utile a inquadrare meglio anche la collocazione dei cinquestelle nel quadro tracciato dal più organico dei loro intellettuali. Dopo tante chiacchiere sulla natura progressista del movimento, ecco finalmente una parola netta, proveniente dalla fonte, in materia, più autorevole che ci sia. Dal punto di vista del Fatto i «partiti più odiati dai padroni» sono quei tre: Cinquestelle, Lega e Fratelli d’Italia.

La fondamentale identità di vedute e di valori che li caratterizza, per non dire la loro intercambiabilità, è testimoniata del resto dalle rispettive e perfettamente simmetriche evoluzioni. Una volta che si avvicinano o raggiungono posizioni di governo, come è capitato a Conte prima e a Meloni adesso, sono infatti perfettamente capaci di abbandonare le tesi incompatibili con il quadro di alleanze e la collocazione internazionale del paese, salvo ritornare esattamente al punto di partenza una volta finiti all’opposizione, come Conte adesso e Meloni prima.

Se a segnare la campagna elettorale fosse stata una tragica impennata del Covid, anziché la guerra in Ucraina, oggi avremmo Conte a riscoprire la retorica no vax delle origini e Meloni a chiedere vaccinazioni obbligatorie anche ai neonati. Siccome invece del Covid è scoppiata la guerra, abbiamo avuto Conte che torna filorusso e Meloni che si riscopre atlantista ed europeista.

La tragedia dell’Italia è che pure chi dovrebbe combattere il populismo accredita e legittima simili piroette a seconda delle convenienze del momento, illudendosi di addomesticare la tigre semplicemente accarezzandola per il verso del pelo. E così Conte è ora un punto di riferimento fortissimo di tutti i progressisti, ora il responsabile dei feroci decreti sicurezza, a seconda dei suoi rapporti col Pd. E lo stesso vale per Meloni, ora leale avversaria con cui costruire un asse in difesa del maggioritario e della comune convinzione che chi vince debba poter governare libero da condizionamenti, ora pericolosa minaccia per l’equilibrio dei poteri e la stessa democrazia.

Resta, inevasa, la solita domanda: con simili democratici, a che servono i fascisti?

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