Se vincerà, Giorgia Meloni vincerà nel vuoto. Nella bolla politico-mediatica in cui si è trovata fortunatamente per lei immersa, giusto all’incrocio tra vecchia politica e voglia di nuovismo.
Ci sarà tempo per capire quale sia la ragione di fondo della sua sicura ascesa elettorale perché razionalmente un motivo per spiegarla al momento non c’è. Meloni infatti non ha una proposta forte, una “bomba” propagandistica, un asso nella manica: non dice niente che non rasenti la banalità con il condimento di uno smisurato orgoglio di parte (e che parte!) e di un vittimismo che accentua il suo apparire come Davide contro Golia. Non era mai stato così. Silvio Berlusconi di “bombe” ne aveva fabbricate molte e dentro un quadro generale che suggeriva a milioni di italiani un “modo di essere” nel quale innestava le sue trovate elettoralistiche: lo ricordiamo tutti – per dire la prima che ci viene in mente – il famoso «aboliremo l’Ici, avete capito bene, aboliremo l’Ici» scoccato in tv come un dardo avvelenato in faccia a Romano Prodi, era il 2006. Lo stesso Prodi di proposte ne aveva, parlava di competenza, serietà, scuola, soprattutto di Europa.
Matteo Salvini, il leader che sta uscendo più malconcio da questa campagna elettorale, roteava il “dàgli all’immigrato”, agitava lo spettro dell’invasione e quindi la primazia degli italiani, evocava le pistole in ogni casa. Beppe Grillo strillava su tutte le piazze il vaffa del Movimento contro l’universo mondo, Giuseppe Conte in queste settimane brandisce il reddito di cittadinanza che finisce tanto per assomigliare al voto di scambio di democristiana memoria, specie al Sud.
Insomma, se si vogliono vincere le elezioni qualcosa bisogna proporre. La cosa migliore è avere una idea fortissima più che cento che non si ricordano (che è il limite della proposta del Pd): ma invece Giorgia no, pedala in una pianura piatta e giallastra come le strade dell’America rurale, avanza senza inciampare, non dà fastidio a nessuno, solo nei comizi si lascia un po’ prendere la mano, per il resto è come se non ci fosse, non alimenta polemiche, non offre spunti di dibattito, nulla: «Sono in modalità tibetana, Om…».
A parte il presidenzialismo, di cui agli italiani interessa poco, idee zero, tanto ci pensano gli altri a farmi vincere. Il che è un po’ vero. A destra il panorama è desolante (Salvini è bollito, Berlusconi in video è imbarazzante), a sinistra le cose stanno come Linkiesta racconta tutti i giorni: quella di Letta è un’alleanza non competitiva e il suo partito sembra essersi cacciato in una ridotta propagandistica e minoritaria dalla quale non sa come venir fuori. Il Terzo Polo non può avere la forza di contrastare l’annunciatissimo exploit di Fratelli d’Italia. Il resto lo fa la bolla mediatica. C’è da chiedersi se senza l’ossessionante tam tam dei sondaggi Giorgia sarebbe ugualmente col vento in poppa, cioè se il quotidiano verdetto degli istituti demoscopici non stia drogando il consenso verso di lei dentro un circolo vizioso impossibile da spezzare. E questa è una questione che riguarda la democrazia, un tema da discutere.
E poi c’è questa storia, evidentemente vera, di un pezzo importante di società italiana che vaga da un leader all’altro purché evochi in qualche modo un’alterità rispetto alla politica tradizionale: Grillo, Renzi, oggi Meloni, una sequenza fondata appunto sull’umor nero degli italiani pronti ad affidarsi a chicchessia purché “nuovo”, mentre attorno sfioriscono le “case politiche” più collaudate (oggi la crisi sembra investire i due partiti anche nella forma più “vecchi”, Lega e Pd).
Mescolando il tutto si arriva al Grande Paradosso del 25 settembre, alla probabile vittoria di Giorgia Meloni, una leader senza una proposta forte, senza un’idea di Paese e tantomeno dei rapporti internazionali, senza una preparazione economica e giuridica specifica, insomma solo con un vocabolario di parole vuote e tanta voglia di non urtare nessuno, eterna reincarnazione di un doroteismo ma senza politica. Una vittoria nel vuoto cosmico. Più che merito suo, è colpa degli altri.