Mancano tre settimane di campagna elettorale. Per il segretario del Partito democratico Enrico Letta il primo tema di cui parlare nei prossimi giorni sarà il caro vita. L’inflazione, dice in un’intervista al Messaggero, «è la tassa più ingiusta, la tassa che colpisce i più deboli. Nel prossimo fine settimana in 1.000 piazze in tutta Italia ne parleremo con i cittadini e ascolteremo i loro bisogni. Poi, nei due successivi fine settimana, scuola e lavoro e povertà. E ancora ambienti e diritti. È la nostra bussola: sostenibilità sociale e ambientale e tutela della persona e della sua autodeterminazione».
Il programma della coalizione di centrosinistra, spiega il segretario, «è radicale, coraggioso, nella gestione di questi cambiamenti: sulle trasformazioni del lavoro, sulla giustizia sociale, sullo sviluppo che si trasforma e non può che essere sostenibile. Le ricette della destra sono un ritorno pericoloso al passato sui diritti e il solito film sull’economia. Sono gli stessi – Meloni, Berlusconi, Tremonti – che hanno condotto l’Italia alla bancarotta nel 2011. Non ci faremo portare indietro: agli anni Cinquanta sui diritti e al 2011, con l’economia a un passo dal fallimento. Pensiamo alla flat tax: non solo è iniqua e incostituzionale perché fa pagare nella stessa proporzione tutti, ma sfascia i conti e si traduce in meno servizi. In pratica, per regalare meno tasse a Berlusconi o ai superprivilegiati, rischiamo di avere meno ospedali o scuole fatiscenti. Lo hanno già fatto: i tagli lineari, i condoni, gli interventi a favore di rendite e privilegio. Proprio ora che l’Italia è risanata, non possiamo permettergli di rifarlo».
Nonostante i sondaggi, Letta non è convinto che la vittoria della destra sia inevitabile. La chance di vincere, spiega, «dipende da quanto siamo in grado di portare le persone al voto. Ci sono milioni di indecisi, specie tra i giovani. Siamo il primo partito tra gli under 35: è molto incoraggiante. Quanto agli esiti già scritti, la storia anche recente è piena di risultati elettorali inattesi, di ribaltamenti, di sorprese, di spinte non fotografate dai sondaggi».
Per Letta, «arrivare primo partito significa cambiare la percezione del nostro Paese, anche all’estero. E dire: la sinistra è forte, l’europeismo è forte, l’Italia non è terreno brado per la destra peggiore di sempre, per i sovranisti. E significa naturalmente incidere molto di più, da protagonisti, sugli equilibri nel prossimo Parlamento. A maggior ragione se dall’altra parte, vogliono, come non nascondono di volere, stravolgere la Costituzione».
Il segretario difende la campagna nel nome della parola “Scegli”. «È la fotografia della realtà. Nella nostra campagna Scegli ci sono sei grandi temi – la politica estera, le tasse, la salute, il lavoro, i diritti, l’ambiente – su cui non si può che stare o di qua o di là. È poi la conseguenza di una legge elettorale folle, che peraltro io personalmente non ho votato. Le faccio un esempio: a Roma centro ci sono Bonino per noi e Calenda per il cosiddetto Terzo polo. Chi vota Calenda non ha alcuna possibilità di farlo eleggere. Nemmeno una. Quindi un voto a lui, o anche alla candidata del M5S, è un voto a Mennuni, di Fratelli d’Italia. Riassumendo: chi vota Terzo polo vota Fratelli d’Italia. Chi vota Movimento Cinque Stelle vota Fratelli d’Italia. È una logica brutale ma inoppugnabile».
La vostra sfida si gioca anche sul Nord. «Certamente», dice Letta. «dobbiamo battere il ferro finché è caldo. Non sa quanti cittadini e imprenditori, nei giorni scorsi a Vicenza e ieri a Milano, mi hanno raccontato il loro disorientamento per quanto avvenuto. E in Lombardia, dove si vota il prossimo anno, c’è la grande questione salute pubblica. I disastri della sanità lombarda sono memoria purtroppo fresca. A maggior ragione lì il Pd ha il dovere di combattere una destra che strizza l’occhio perfino ai no vax».
E di fronte alla svolta di sinistra di Conte, risponde: «Non ci si inventa progressisti. Parlano le storie personali. Il M5S è il partito di Grillo, quello che per anni ha detto che destra e sinistra sono uguali. Io dico: no, non sono uguali. Non esiste la sinistra a targhe alterne. La cultura politica, la linearità dei percorsi di vita, le grandi scelte valoriali contano e continueranno sempre a contare, per fortuna».
Ma se ci fossero le condizioni, anche in futuro, Letta ridirebbe sì ad un governo di larghe intese? «L’esperienza Draghi è stata positiva e io spero che Draghi abbia ancora un ruolo di primo piano al servizio del Paese. Ma quel tipo di maggioranza è irripetibile», risponde.