Da una parte c’è la Commissione europea, con il sostegno di pochi ma influenti Paesi. Dall’altra la maggioranza degli Stati membri dell’Ue. Il nodo della contesa è il price cap, il discusso tetto al prezzo del gas, e il round preliminare il Consiglio straordinario dei ministri dell’Energia del 30 settembre a Bruxelles.
Il 27 settembre alla commissaria europea all’Energia Kadri Simson è arrivata una lettera, dai toni cordiali ma decisi. Recava la firma dei ministri competenti di 15 Paesi dell’Ue e chiedeva «un tetto al prezzo del gas, da applicare a tutte le operazioni di mercato» che riguardano il combustibile. Una soluzione differente da quella suggerita qualche settimana prima, ma mai proposta ufficialmente, dalla Commissione di un limite di prezzo per il solo gas russo.
Gli Stati firmatari della missiva, infatti, ritengono un price cap totale «l’unica misura che aiuterà ogni Stato membro a mitigare la pressione inflazionistica». Il ragionamento è semplice: visto che l’Unione Europea importa sempre meno gas dalla Russia (il 9% del totale, stando all’ultimo annuncio di Ursula von der Leyen), tenerne il prezzo sotto controllo potrà forse servire a ridurre i guadagni del governo di Mosca, ma non le bollette dei consumatori europei.
A sostenere la tesi, oltre all’Italia che spinge da tempo per adottare la misura, sono Belgio, Bulgaria, Croazia, Francia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia e Spagna. C’è chi ha combattuto questa battaglia fin dall’inizio e chi, come la Francia, si è convinto strada facendo, soprattutto guardando all’aumento del prezzo del gas, che ad agosto ha toccato la cifra record di 346 euro per megawattora, prima di scendere a livelli comunque molto più alti di un anno fa.
I fautori del tetto generalizzato non rappresentano solo la maggioranza dei Paesi nell’Unione, ma sfiorano anche la maggioranza qualificata: cioè il 55% degli Stati membri con almeno il 65% della popolazione, soglia necessaria per adottare le misure in campo energetico. Basterebbe uno Stato in più, anche di dimensioni modeste, dalla propria parte, per approvare una proposta di price cap su tutto il gas.
Il problema è che questa proposta non arriverà, almeno per ora. Il giorno successivo alla ricezione della lettera, la Commissione ha sfornato un non-paper, cioè un documento informale di lavoro, con gli interventi che prevede di proporre sul mercato del gas. Gli obiettivi sono noti: limitare il ricatto energetico della Russia e i suoi ingressi, ridurre il costo del combustibile e mitigare la volatilità dei prezzi.
Insieme ad altre ipotesi, come la fondamentale riduzione della domanda, un programma di acquisti comune e un nuovo mercato di riferimento per il gas naturale liquefatto, la Commissione suggerisce la possibilità di imporre due tipi di tetto al prezzo del gas.
Ma nessuno dei due assomiglia a quello richiesto. Uno, nuovo, riguarda il costo del solo gas utilizzato per produrre l’elettricità, che dovrebbe essere limitato tramite misure a livello nazionale.
L’altro, già discusso, è proprio quello relativo al gas russo, sia che venga importato tramite gasdotti (53 miliardi di metri cubi solo da gennaio ad agosto 2022), sia che arrivi, liquefatto, via mare: 15 miliardi nello stesso periodo, persino più dell’anno scorso in termini assoluti.
Parallelamente, l’Ue chiederebbe agli altri Paesi produttori una riduzione del corrispettivo pagato per le loro forniture. Come spiegano a Linkiesta fonti comunitarie, Norvegia o Stati Uniti non possono essere trattati alla stregua della Russia, perché considerati fornitori affidabili: la speranza è che possano abbassare comunque le proprie pretese, visto l’ampio margine di ricavi che ottengono in questo momento dalla vendita del gas.
La Germania dietro la Commissione
La scelta, maturata dopo settimane di studio dei possibili scenari, si deve principalmente alla presenza di rischi considerati eccessivi nel price cap generalizzato, che secondo l’analisi della Commissione potrebbe causare una carenza di approvvigionamenti. Il gas, soprattutto quello naturale liquefatto, raggiunge l’Europa perché in questo momento è il mercato più remunerativo, ma se il prezzo della materia prima venisse ridotto per legge, sarebbe difficile continuare ad attrarre gli esportatori.
È il timore più diffuso, ma non il solo: un tetto ai prezzi si ripercuoterebbe anche sulle compravendite «secondarie» tra i Paesi europei, grazie alle quali al momento il gas arriva dove ce n’è più carenza e quindi si è disposti a pagarlo di più. Per allocarlo in maniera ottimale anche con il price cap, servirebbe invece un organismo apposito a livello europeo, complesso da istituire in breve tempo.
Anche la determinazione del prezzo massimo da pagare sarebbe problematica, in un mercato volatile e molto dipendente da diverse variabili, come la temperatura o le richieste da altre parti del mondo. Ma dietro alle indiscutibili difficoltà «tecniche» si nasconde probabilmente anche il peso politico di un Paese, la Germania, che non approva il piano di un price cap generalizzato perché rimane più preoccupata dalle possibili carenze nelle forniture che dall’aumento dei prezzi.
Lo ha espresso in maniera chiara la ministra tedesca agli Affari europei Anna Lührmann in un’intervista: «Se l’Unione Europea introduce unilateralmente un tetto al prezzo, mentre tutti gli altri importatori nel mondo non lo fanno, il gas andrà altrove». Il governo di Berlino, al contrario di altri, ha un ampio margine a livello fiscale che gli consente ad esempio di stanziare ben 200 miliardi di euro contro il caro energia.
Paesi come l’Italia o gli altri firmatari della richiesta sul price cap, accomunati da un deficit più o meno pesante di bilancio, hanno più bisogno di una soluzione europea. Come emerge da fonti diplomatiche, cercheranno di issare a bordo nuovi membri e smussare l’opposizione dei governi più scettici, tedeschi e olandesi in primis, prima del prossimo Consiglio europeo. A decidere l’esito di questa lunga partita, concordano tutti, saranno i capi di Stato e di governo dell’Ue.