Scommetto un euro che dei trecento milioni di rublodollari, di cui i servizi americani seguono le tracce in Europa e rendono noto di avere una contabilità abbastanza precisa, neppure una mazzetta sarà trovata in Italia nelle tasche o nei conti dei molti indiziati speciali della benevolenza del Cremlino.
Non lo dico – sia chiaro – per fiducia nell’onestà degli amici italiani di Putin, che sono tanti e pure tanto bisognosi, né per sfiducia nelle buone intenzioni dell’intelligence Usa. Non è in discussione, ovviamente, che il regime putiniano, alla pari di qualunque organizzazione mafiosa, usi la corruzione economica, quanto il ricatto e l’intimidazione, come strumento di infiltrazione, reclutamento e condizionamento politico.
A essere in discussione è che queste operazioni speciali possano essere contestate, accertate e sanzionate in sede giudiziaria come se fossero le bustarelle di Mario Chiesa. Per quanto malconciati siano gli apparati russi, c’è da dubitare che ignorino le tecniche, alla portata di qualunque organizzazione criminale transnazionale, per movimentare montagne di soldi invisibili.
Per altro verso, sia detto in generale, varrebbe la pena di essere prudenti circa il vantaggio di montare processi mediatici usando a spizzichi e bocconi gli stralci dei dossier degli apparati di sicurezza, come altri fanno con le intercettazioni ricettate nelle segrete stanze delle procure. Anche perché al gioco dei veri o finti dossier potrebbero iniziare a giocare anche i russi. Così, in ogni caso, non si fa una buona giustizia, ma neppure una buona politica, meno che mai antitotalitaria.
A partire da questa vicenda, è invece più interessante e secondo me urgente riflettere sul fatto che a suscitare interesse e riprovazione e a far gridare al tradimento non sia la militanza apertamente collaborazionistica di una grande parte della politica italiana con l’avvelenatore in chief di Mosca, ma il possibile emolumento per il servizio prestato.
Davvero è così rilevante sapere se l’amore dichiarato per Putin di Salvini e Berlusconi sia stato sincero o mercenario, se il pacifismo anti-ucraino del Movimento 5 stelle e della sinistra senza se e senza ma, prima e dopo il 24 febbraio 2022, sia stato pro bono o fatturato e se il ruffiano relativismo sulla complessità della questione russa, che ha portato la meglio gioventù e i venerati maestri della politica italiana, a destra come a sinistra, a tenere bordone al macellaio del Cremlino e a menare scandalo per le sanzioni e per l’isolamento di Mosca, sia stato remunerato o l’unica remunerazione concessa sia stata la considerazione e l’amicizia del grande capo della satrapia cekista?
In un Paese come l’Italia, abituata al voyeurismo giudiziario e quindi a eccitarsi e indignarsi solo guardando la politica dal buco della serratura delle inchieste e dei processi, sembra che l’accusa di putinismo, che oggi la generalità dei putiniani rigetta sdegnosamente, possa essere dimostrata unicamente portando le prove di una corruzione economica o di un guadagno colpevole.
Il che conferma che la cultura di Tangentopoli non ha solo imbarbarito, ma anche instupidito l’Italia, stabilendo l’equivalenza tra lo scandalo e l’illecito e tra la responsabilità politica e quella penale. Quindi, alla fine, se non c’è un reato, se non si trovano i piccioli, se non si trovano ad esempio le piste, cancellate proprio da parte russa, del dopo Metropol, allora non c’è nulla di cui rispondere, vero?
Se Salvini eleggeva Mosca a Gerusalemme della diaspora sovranista, se Meloni esecrava le «folli sanzioni» alla Russia dopo l’invasione del Donbass e l’annessione della Crimea, se Berlusconi giurava in mondovisione sulla caratura democratica del suo amico particolare, se Prodi denunciava l’errore dell’ostracismo di Putin e ostentava ricambiato familiarità col capobanda moscovita, sdilinquendosi in complimenti sulla sua abilità economica e politica, se insomma accadeva tutto questo e moltissimo altro di uguale o di simile, possiamo dire che in realtà non è successo niente e non si è consumato alcun oltraggio alla causa della verità e della libertà, della pace e della sicurezza, se questa difesa di Putin non è stata contraccambiata almeno da un piccolo cadeau?
Possibile che pure sugli affari internazionali, cioè sulle questioni più radicalmente esistenziali per la nostra democrazia, la misura della qualità, dell’onestà e della lealtà patriottica della classe politica sia misurata da un metro così stupidamente moralistico?