Caleidoscopio comunitarioL’Unione europea che immaginano i partiti italiani

Nei programmi elettorali, le forze politiche hanno visioni moto differenti, dalle «svolte europeiste» alle proposte più radicali. Quella del 25 settembre è anche la sfida tra modelli diversi di Europa

AP/LaPresse

Tutti vorrebbero un’Italia protagonista in Europa, molti propongono di modificare le regole comunitarie, pochi chiedono un’integrazione più profonda. Nei loro programmi elettorali le forze politiche italiane hanno delineato, in maniera più o meno compiuta, visioni differenti del futuro dell’Unione europea.

Capriole europeiste
Quella forse più sorprendente emerge dall’«Accordo quadro di programma» della coalizione di centrodestra, sottoscritto da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e dalla lista Noi Moderati. All’Europa è dedicato il primo punto, dove si propone «piena adesione al processo di integrazione europea», «revisione delle regole del Patto di stabilità e della governance economica» e «tutela degli interessi nazionali nella discussione dei dossier legislativi europei».

La sintesi delle istanze dei diversi partiti sembra decisamente pendere verso una linea europeista, sfrondata dalle battaglie sovraniste del passato. Solo due mesi fa, il programma ufficiale di Fratelli d’Italia per le elezioni 2022 cominciava con un eloquente «Prima l’Italia e prima gli italiani» e menzionava la ridiscussione di tutti i trattati dell’Ue (Euro compreso) e perfino una «clausola di supremazia in Costituzione per bloccare accordi e direttive nocivi per l’Italia».

Anche la tradizionale retorica anti-europea è apparsa smussata e, al netto della difesa d’ufficio dell’operato di Viktor Orbán in Ungheria, e di qualche sporadico riferimento ai non meglio identificati «burocrati di Bruxelles», Meloni ha risparmiato attacchi diretti all’architettura e alle istituzioni dell’Ue. Un riposizionamento che nei think tank comunitari viene spiegato con tre ipotesi: la necessità di tenere in considerazione le istanze Forza Italia, membro del Partito popolare europeo che è al potere nell’Unione, la volontà di rassicurare i mercati in vista di una sua elezione, e la realpolitik di evitare ogni motivo di scontro superfluo con la Commissione europea, almeno finché l’Italia non riceverà tutte le tranche del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

«Soprattutto all’inizio della campagna elettorale, Meloni ha parlato poco. FdI si è allargata in termini di consenso ma anche di pattuglia politica, caricando a bordo diversi esponenti di Forza Italia, figure che hanno avuto incarichi a livello comunitario», spiega a Linkiesta Tommaso Grossi, analista dell’European Policy Center. «Solo nei giorni a ridosso del voto è tornata a calcare un po’ di più sui temi dell’euroscetticismo: penso dipenda dai sondaggi interni che ha a disposizione».

Un’altra interessante, anche se decisamente più graduale, «svolta europeista» è quella operata dal Movimento Cinque Stelle. Che, abbandonata la proposta radicale di un referendum per uscire dall’Euro datata 2015, ora non solo garantisce una «solida collocazione nell’Unione Europea», ma chiede pure l’emissione permanente di debito comune e un progetto di difesa europeo, come si legge nel suo programma ufficiale.

Ma per Tommaso Grossi non è detto si tratti di un cambiamento sostanziale. «Giuseppe Conte è un comunicatore abile: non sono convintissimo dell’europeismo del Movimento, che rimane comunque un partito-antisistema». Certo è che il suo leader utilizza toni e argomenti molto diversi rispetto alla prima esperienza da presidente del Consiglio, quando si trovò a governare con il sostegno di una Lega fortemente euroscettica e divenne bersaglio di invettive feroci al Parlamento di Strasburgo.

Pro e contro
«Partito democratico e Terzo polo rappresentano le proposte più convintamente europeiste, grazie soprattutto alla composizione delle loro classi dirigenti», afferma Grossi. Il programma elettorale del Pd sembra in effetti molto orientato in senso comunitario, e non solo perché la parola «Europa» compare ben 37 volte su 37 pagine (più le 13 di «Unione Europea»), ma anche per alcuni degli spunti che contiene.

Prima fra tutti una riforma dei Trattati che parta dall’abolizione del diritto di veto e «permetta un salto in avanti istituzionale»: si tratta di una richiesta già formulata dall’Eurocamera e sostenuta pure dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, ma impossibile da esaudire senza il consenso di tutti i 27 Paesi che compongono l’Ue.

Poi c’è il sostegno a una prospettiva di allargamento dell’Unione nei Balcani, oltre alla modifica del Patto di stabilità e crescita, che per la verità appare in quasi tutti i programmi, e a un accenno all’autonomia strategica che l’Unione sta cercando faticosamente di conquistare.

Il programma democratico, tuttavia, parla di «confederazione europea» che leghi gli Stati membri e quelli candidati all’adesione, ma non si spinge oltre sulla struttura comunitaria. Al contrario di quanto scrive Più Europa, alleata del Pd nella coalizione di centrosinistra, che vorrebbe un’«Unione di Stati federati». Tra i primi passi verso gli «Stati Uniti d’Europa» ci sarebbero il potere di iniziativa legislativa al Parlamento comunitario, l’adozione di liste transnazionali ed elezioni pan-europee, e, ovviamente, la riforma dei trattati con l’estensione del voto a maggioranza qualificata in materie di politica estera e fiscale.

Far avanzare l’integrazione europea è anche l’obiettivo del cosiddetto «Terzo polo», la lista formata da Azione e Italia Viva e ancorata al gruppo Renew Europe al Parlamento europeo. Serve, secondo la formazione centrista, una «svolta in senso federale» per finalizzare l’Unione economica e l’Unione bancaria, adottare una politica estera comune e riconoscere in tutta l’Ue i titoli di studio conseguiti in uno dei Paesi membri.

Un afflato europeista si riscontra pure nel progetto della lista Europa Verde/Sinistra Italiana, che tocca la riforma dei trattati, la solidarizzazione del debito, la politica estera comune e la «dimensione sovranazionale» della democrazia europea. Le politiche comunitarie dovrebbero essere «all’avanguardia nella lotta al cambiamento climatico» e più rispettose dei diritti umani.

Ma c’è anche chi, da sinistra e da destra, è insofferente alle attuali regole europee e piuttosto che cedere sovranità preferisce recuperarla a livello nazionale. Unione Popolare, guidata da Luigi de Magistris, invoca la revoca del «vincolo europeo laddove in contrasto con la Costituzione» e dell’obbligo di pareggio di bilancio contenuto nel Patto di stabilità e crescita. Ma anche l’abolizione del Mes, il famigerato Meccanismo europeo di stabilità, visto a lungo come fumo negli occhi da pentastellati e destre euroscettiche e ora scomparso dalle loro invettive.

Ancora più chiaro, a partire dal nome, è il partito Italexit, del senatore Gianluigi Paragone: Italia fuori dall’Euro e dall’Unione Europea, tramite un processo «studiato da tempo». Proposte estreme, che completano un ventaglio di opzioni sull’Europa molto variegato: agli italiani la scelta

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