È con tristezza, delusione, e la frustrazione di chi vede i propri sogni svanire che vi annuncio che la mia carriera di influencer è finita prima di cominciare. Prima del primo video in cui promuovere una tisana dimagrante, un topper, un aspirapolvere, un paio di mutande d’acrilico.
Né più mai toccherò le sacre gifted, ove il mio corpo fanciulletto in adv – scusate, mi sono fatta prendere la mano, ma capite bene che è un momento di confusione mentale, fatico a prendere atto della fine d’ogni mia speranza.
È accaduto, infatti, che domenica mi sia accinta, come ogni ultima settimana d’ottobre della mia vita, a comprare un’agenda. Accade che ogni ottobre io vada a ordinare questa benedetta agenda sul sito dell’azienda inglese che la produce (Smythson, posso pure dire la marca gratis, tanto ormai è chiaro che nessuno mi pagherà più per dire le marche che uso, il mio sogno di bambina è svanito, né più mai potrò annunciarvi che consegniamo in tutta Italia isole comprese). Accade che ogni ottobre non mi ricordi quale dei loro millemila modelli di agende io voglia.
Certo che ho l’agenda dell’anno in corso, ma non ho mai sottomano un metro da sarta (ce ne saranno cinque, in casa, in una casa in cui nessuno ha mai neppure riattaccato un bottone: accessori abusivi da sartoria, oltretutto introvabili quando servono): non posso misurare quant’è grande quella che mi va bene, e quindi di quale misura devo sceglierla.
Perdipiù, della stessa misura questi ipertrofici dell’assortimento ne fanno varie tipologie, e insomma io ogni ottobre scrivo alla mia amica che compra la stessa agenda e le chiedo di dirmi quale perché da sola non sono in grado.
Poiché domenica mi sentivo socievole (ma pensa te), ho fotografato la ricerca di Google delle agende, e ho pubblicato nelle storie di Instagram la pagina, scrivendoci su che come ogni fine ottobre, essendo rimbambita, avrei dovuto chiedere alla mia amica che agenda volessi.
Qualche ora dopo ho aperto Instagram, e mi è comparsa una schermata che diceva «La tua storia non rispetta le nostre Linee guida della community» (maiuscole e sintassi analfabete come nell’originale). «Abbiamo rimosso il tuo contenuto storia perché viola le nostre Linee guida della community in materia di discorsi o simboli che incitano all’odio. Se pubblichi di nuovo qualcosa che viola le nostre linee guida, il tuo account potrebbe essere eliminato, compresi post, archivio, messaggi e follower».
Clicco «Ok» perché non c’è alcuna altra opzione, e perché – essendo ottimista in modi che la realtà non giustifica, e l’algoritmo giustifica ancora meno – sono convinta che a una schermata successiva mi comparirà la possibilità di obiettare «ma cosa cazzo dite, rincoglioniti: le agende azzurre in cima alla pagina di Google incitano all’odio di chi, di chi non può permettersi un’agenda che costa come cinque vestiti d’acrilico?».
Invece la schermata successiva dice così: «Avviso relativo all’account. Il tuo account potrebbe essere eliminato. Alcuni dei post precedenti non rispettavano le nostre Linee guida della community. Se impari e rispetti le nostre linee guida, puoi evitare che il tuo account venga eliminato». Sotto, c’è una lista di minuscole fotine di storie già eliminate dal zelante algoritmo che scambia un’agenda per il Mein Kampf o per vai a sapere cosa.
Riconosco solo la penultima, l’avviso mi dice che è stata eliminata per «violenza e istigazione alla violenza» la sera del 5 luglio. È la foto d’un pacco arrivato da una casa editrice, chiuso con degli impossibili legacci. Nell’angolo si vedeva un coltello da cucina.
Ricordo che all’epoca pensai: questo fesso algoritmo ha scambiato il coltello per un’arma fotografando la quale invitavo a un duello all’arma bianca, mica aprivo un pacco. Porello, fosse intelligente sarebbe un algoritmo cinese, invece è californiano ed è fesso. Cioè: riuscivo a ricostruire la scemenza della sua logica.
Perché io la scemenza la do per scontata – sennò ogni dieci minuti che passo sui social mi butterei dalla finestra – ma esigo che essa abbia una sua logica interna. Quando l’algoritmo ti castiga per una storia in cui ci sono delle foto di agende, e in cui la parola più forte che usi – e rivolta a te stessa – è «rimbambita», la logica va a meretrici e io abbandono il gioco.
Il che è un peccato, perché Instagram è ottimo, se non per farsi pagare dalle aziende per lodare i loro prodotti, almeno per cazziarle quando non sanno fare il loro lavoro (Cortilia, dico a te: ho ritardato d’un giorno il mio andarmene sdegnata da Instagram solo per la tigna di dirti quanto siete cialtroni). È un peccato, ma io non posso restare in un posto in cui non solo non fatturo (produttori di mutande d’acrilico, sentitevi in colpa a non avermi mai ingaggiata) ma in cui mi trattano pure come una dodicenne che deve mangiare le verdure e fare i compiti.
Se impari e rispetti le nostre linee guida poi puoi guardare mezz’ora di televisione e mangiare una Girella Motta dopo cena. Ma chi vi conosce, ma chi vi ha illuso che possiate darmi degli ultimatum, ma non vi permettete.
Ho amici che, quando un social cancella qualcosa di loro, fanno una sleppa di post indignati in cui si atteggiano a censurati dai poteri forti e si comportano come se avessero comprato uno spazio pubblicitario e la concessionaria non adempiesse al contratto.
A loro dico sempre ma che diavolo vuoi, la piattaforma è la loro, te la lasciano usare gratis, decideranno loro le regole della stanza dei giochi cui ti danno accesso. Lo penso ancora. Ma non posso stare col patema che, se domani posto la foto d’un topper chiedendo consigli sulle marche migliori, quelli scambino il topper per una divisa nazista (algoritmi che equivocano un’agenda son capaci di qualunque follia) e mi cancellino tutto l’account – il preziosissimo account che mi è indispensabile per guardare i video delle militanti ottuse e quelli dei figli della Ferragni – o peggio mi minaccino di farlo.
Ho sempre avuto problemi con la disciplina, persino quando avevo l’età giusta per subirla. Figuriamoci se sono arrivata a cinquant’anni per farmi minacciare da uno stolido algoritmo di venire mandata a letto senza cena. E senza neanche un adv sul digiuno intermittente.