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La storia si ripete. In questo preciso istante i russi, sotto gli occhi di tutti, stanno cancellando dalla faccia della terra Mariupol’, Severodonec’k, Lysyčans’k e altri piccoli paesini della regione di Donec’k e Luhans’k. Si tratta non soltanto di conquistare i territori, ma di far sì che tutti dimentichino che in quei posti c’è stata e c’è ancora l’Ucraina.
I russi lo hanno già fatto nel passato. I vertici del Partito comunista hanno cercato in tutti i modi di cancellare qualsiasi storia del Donbas che non fosse quella sovietica.
Per questo è stata taciuta la storia di un’epoca più antica di queste terre, che costituivano una parte dello Stato cosacco. Per contrastarla è stato inventato un mito del Donbas come terra di minatori e metallurgici che faticavano duro in nome dell’Unione dei Paesi Socialisti Sovietici.
Per lo stesso motivo, la lingua ucraina è stata cancellata. Secondo il censimento del 1897, il 68,9 per cento degli abitanti della regione di Donec’k e il 62 per cento di quelli della regione di Luhans’k consideravano l’ucraino lingua madre. Nel 1989 questo indice cala fino al 30,6 per cento nella regione di Donec’k e fino al 34,9 per cento in quella di Luhans’k. Gli insegnanti di ucraino sono stati licenziati, gli scrittori ucraini, gli attivisti per i diritti umani e i dissidenti sono stati oggetto di repressione.
Per questo il capoluogo della regione è stato spostato dalla Bakhmut ucraina, la città dove per la prima volta è stata alzata la bandiera ucraina nel 1917, a Donec’k (all’epoca Stalino). Bakhmut aveva una tradizione ucraina troppo forte.
L’ironia della sorte sta nel fatto che la potenza industriale della regione non fu nemmeno creata dai sovietici, ma dagli europei: tedeschi, francesi, britannici e belgi. I sovietici si sono appropriati delle miniere e delle fabbriche nell’Ucraina orientale durante il caos della Prima guerra mondiale. Per questo motivo, il Belgio non ha riconosciuto l’Unione Sovietica come Stato fino al 1935.
Nell’Ucraina indipendente dopo il 1991, il mito del Donbas non è stato cancellato, ma è stato anzi rafforzato dalle locali élite politiche. Perfino il termine “Donbas”, una delle poche abbreviazioni sovietiche rimaste (Donbas sta per Donec’kyj vuhilnyj basejn – bacino del carbone di Donec’k ), ha continuato a vivere in Ucraina senza badare a quale fosse la provenienza e al significato del toponimo.
In seguito, all’immagine del Donbas come terra di proletariato è stata aggiunta un’immagine del Donbas come terra di criminali: negli anni Novanta, nella regione sono stati uccisi alcuni uomini d’affari di successo. E poi è stata aggiunta anche un’immagine del Donbas come terra di lingua russa, una tragica conseguenza della sanguinosa politica di russificazione avvenuta negli anni sovietici. E, ancora, un’immagine di terra filorussa, fomentata dalla figura dell’ex presidente ucraino, originario del Donbas, Viktor Janukovyč.
Il suo Partito delle regioni ha monopolizzato quella parte del Paese fino a stroncare le voci meno rumorose che non entravano nel quadro del mito del Donbas. Questo mito è stato così fortemente radicato nel presente ucraino al punto che fino al 2014 si sapeva molto poco del movimento filoucraino nelle zone di Donec’k e di Luhans’k. Per esempio, nel 2006-2009, all’università di Donec’k era attiva l’organizzazione giovanile Poštovkh (La Spinta) che lavorava per riportare nel Donbas l’identità ucraina. E poi c’erano gli scout ucraini Plast nelle varie città del Donbas e poi i gruppi letterari e artistici e i tifosi di calcio che si sentivano parte di un tutt’uno ucraino e non solo di un contesto locale. Questa lista potrebbe continuare.
Sia a Donec’k sia a Luhans’k hanno avuto luogo le proteste di Euromajdan, non così numerose come nelle altre città, però nemmeno così scontate. Dopo la vittoria dell’Euromajdan a Kyjiv e dopo che la Russia ha iniziato a occupare le regioni di Donec’k e Luhans’k, la piazza di Donec’k ha risposto con una protesta di diecimila persone il 13 marzo 2014. Non è tanto, se consideriamo che la città aveva più di un milione di abitanti, ma non è neanche così poco, considerate le poche speranze che gli altri ucraini nutrivano nei confronti degli abitanti del Donbas.
In seguito, nella Donec’k occupata, è stato organizzato il primo festival di letteratura con la partecipazione di scrittori ucraini. Secondo l’opinione dei militanti locali, al Donbas sono mancati altri cinque o dieci anni per rafforzare definitivamente un’identità ucraina.
Dopo il 2014, quando quasi metà della popolazione di Donec’k e di Luhans’k è sfollata per via dell’occupazione russa, la voce ucraina del Donbas si è fatta più forte. La scrittrice e storica Olena Stiazhkina (che scrive su questo numero del Magazine de Linkiesta, ndr), lo studioso di religione Ihor Kozlovs’kyj, i giornalisti Denys Kazans’kyj e Serhij Stukanov e tanti altri sono diventati una voce alternativa del Donbas in Ucraina e nel mondo. Alcuni di loro, però, preferiscono non usare il termine Donbas in quanto retaggio del falso mito sovietico.
Dal 2014, nelle varie città delle regioni di Donec’k e di Luhans’k non occupate dai russi, si è rafforzato il movimento civile progressista, che promuove idee per una gestione locale più organizzata, per una salvaguardia dell’ambiente e per una popolazione più patriottica: a Konstiantynivka è stata attiva l’associazione Vil’na khata (La casa libera) e a Drużkivka l’associazione Točka dostupu (Il punto di accesso), mentre l’Università orientale si è trasferita da Luhans’k a Severodonec’k. In questi posti si è scritta una nuova storia dell’Est ucraino basata sulle forti tradizioni locali.
La popolazione che tuttora vive sotto l’occupazione russa continua a credere nell’Ucraina. Ne è un esempio lo scrittore Stanislav Asejev, rimasto nella Donec’k occupata a testimoniare e a mandare i suoi scritti al giornale ucraino Dzerkalo tynhnia (Lo specchio della settimana) fino al 2017, quando è stato rapito dagli occupanti. Dopo due anni di prigionia è stato liberato durante uno scambio di prigionieri.
Le persone come Asejev continuano a vivere anche adesso sotto occupazione. Sono loro che disegnano la bandiera gialloblu sulle case e sulle strade. Sono loro che passano le informazioni importanti all’esercito ucraino. I maturandi di Donets’k si preparano per entrare nelle università ucraine. Anche un’amica della scrittrice Olena Stiazhkina ha deciso di rimanere e di aspettare, perché ci dovrà pur essere «qualcuno ad accogliere l’esercito ucraino con i fiori dopo la nostra vittoria».
Nel 2022, la Russia si è posta l’obiettivo non solo di occupare l’Ucraina orientale, ma di annientarla. Mariupol’ e Severodonec’k sono state rase al suolo. Nella basilica di San Petro Mohyla a Mariupol’, gli occupanti hanno bruciato tutta la biblioteca che includeva anche testi unici. Nelle scuole occupate sono arrivati i professori da Rostov e da San Pietroburgo. Bruciano i libri, cambiano i docenti, riscrivono i testi, cancellano la memoria usando i soliti vecchi metodi sovietici.
Però questa volta sarà più difficile. Ci sono ancora troppi testimoni oculari, sono ancora in troppi a ricordare, sono morti troppi ucraini per difendere la Donec’k e la Luhans’k ucraine.
Le città distrutte saranno ricostruite e noi ci ritorneremo, per continuare a scrivere la storia dell’Est ucraino.
Kateryna Zarembo è analista politica e professoressa universitaria, si occupa di politica estera, di politica di sicurezza e di studi sulla società civile ucraina. Da maggio 2022 è ricercatrice presso la Technical University di Darmstadt in Germania. È membro associato del New Europe Center di Kyjiv e insegna alla Kyjiv-Mohyla Academy. In autunno uscirà presso la casa editrice ucraina Choven il suo libro “Il sole ucraino sorge nel Donbas” sui movimenti filoucraini nella parte orientale del Paese.