Riscoprirsi fragiliLa caduta del governo Draghi ha indebolito l’Italia e, quindi, l’Unione europea

La mossa tutt’altro fessa (e anti italiana) di Conte e della destra ha avuto ricadute ben oltre Roma: senza il protagonista della migliore stagione dell’europeismo, gli Stati membri a Bruxelles si sono sfilacciati. Lo ha capito Giorgia Meloni, lo ha capito la Germania, lo ha capito perfino Putin

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Da quando Mario Draghi è stato sfiduciato da Giuseppe Conte e dalla destra, l’Unione europea si è sfilacciata, e non è certo una coincidenza casuale. La caduta del presidente del Consiglio italiano ha, anche se finora non formalmente, tolto di mezzo il principale artefice della migliore stagione dell’europeismo, quella dell’unità a fianco di Kyjiv meravigliosamente simboleggiata dalle foto di Draghi, Macron e Scholz in viaggio verso l’Ucraina.

Solo dei pazzi potevano non tenere conto della centralità del premier italiano nella politica europea e nella sua capacità di direzione politica dell’Ue e presto dovranno rimpiangerlo: la prima a capirlo è stata Giorgia Meloni, la sovranista costretta dai fatti a rendersi conto che il mitico interesse nazionale da lei tanto sbandierato in campagna elettorale si difende con una sempre maggiore integrazione europea e non il contrario.

Consapevole della sua inesperienza soprattutto nel campo dell’economia internazionale, la premier in pectore chiama spesso Draghi per capire cosa succede e come dovrà comportarsi. Anche perché le cose stanno cambiando in fretta.

Cosa sta succedendo? La novità più forte è che la proposta europeista di Draghi di fissare un tetto al prezzo del gas non marcia per colpa di Berlino e dei suoi alleati nordeuropei. Non solo, la Germania ha fatto una cosa in più e fortemente evocativa: di fatto il tetto se lo è messo da sola stanziando ben 200 miliardi di euro, uno “scudo” nazionale che mette al riparo le casse tedesche e lancia un segnale all’Europa: ognuno fa come gli pare.

Draghi si è molto innervosito, tanto che Scholz ha dovuto spiegare che i 200 miliardi non c’entrano niente con la battaglia per il price cap. Sarà. Ma le due cose sono collegate strettamente.

L’Italia era riuscita a portare sulla proposta del price cap l’altro grande Paese europeo, la Francia, a riprova di un’intesa molto forte tra Draghi e Macron: ma chi può dire che il presidente francese si comporterà allo stesso modo con Giorgia Meloni, l’amica di Marine Le Pen? La domanda è d’obbligo perché, parliamoci chiaro, sulle decisioni dei vari Paesi incidono anche gli interessi delle famiglie politiche, e da questo punto di vista il governo a guida Fratelli d’Italia si presenta come estremamente fragile.

Infatti, come ha scritto ieri Claudio Tito in un retroscena sulle preoccupazioni di Bruxelles, il nostro Paolo Gentiloni ha dovuto rassicurare tutti sul fatto che «la tenuta del sistema democratico non è in discussione». Non è molto. La verità è che né Gentiloni né altri – nemmeno Draghi – possono giurare sul prossimo impegno del governo di Roma nel rafforzamenti della coesione europea, tutti conoscono l’istintivo scetticismo di Giorgia verso l’Unione europea, per sorvolare sulle amicizie pericolose con Budapest e Varsavia.

Insomma, la Germania ha capito che qualcosa è cambiato e che se Roma cede si apre tutt’altra fase.

E può benissimo darsi che questo cambio di scenario lo abbia intravisto anche Vladimir Putin che ormai è lanciato su una linea che ricorda molto quella, tristissima, dell’Anschlüss nel 1938, quando Hitler si prese l’Austria, il contesto è ovviamente diverso ma la cosiddetta “annessione” delle 4 province del Donbas da parte della Russia è senz’altro il segno di un’escalation resa più facile dall’indebolimento dell’Europa.

Senza Draghi, l’Italia e l’Europa sono più deboli. Poteva pensarci prima, quel genio dell’avvocato del popolo.

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