Bamboccioni a chi? Un Faro, a Roma

Un locale specializzato in caffè fa scelte anticonvenzionali, che si rivelano una perfetta sintesi della nouvelle vague che i giovani stanno portando avanti in un settore in costante evoluzione. Che parte da etica e principi

Foto Samson Bush -Pexels

Si chiama Faro, ed è un luogo romano del gusto, dove andare ad assaporare un ottimo caffè specialty, accompagnato da una bella proposta mangereccia curata e intrigante. Ma si chiama Faro anche perché fa delle scelte anticonvenzionali, e rappresenta quella nouvelle vague di giovani e brillanti professionisti che stiamo cercando di raccontare e di capire, grazie al nostro Festival ma anche grazie alla costante ricerca che ci piace fare in questo settore in così grande cambiamento. E questo post su instagram di questo locale di riferimento ci ha colpiti, perché sintetizza un principio e un valore che i giovani rappresentanti del settore enogastronomico stanno portando avanti con determinazione, rischiando, ma provando a spiegare il loro punto di vista. Che parte dalla sostenibilità di vita, e dalla comprensione del ruolo e del mercato: una presa di posizione che può risultare antieconomica, e anche un po’ antipatica per i clienti abituati a tutto e sempre. Ma che invece rappresenta un nuovo modo di vedere la professione. Meno totalizzante, meno autoritaria sulla vita delle persone che la fanno, ma soprattutto sostenibile per chi la vive ogni giorno. E, in fondo, migliore anche per i clienti che la frequentano, che devono fare uno sforzo in più, economico e di tempi, ma che possono così avere qualcosa che non si paga: valore, dignità, sicurezza, etica.

“Aperti tutti i giorni, 365 l’anno. 8-16 dal lunedì al venerdì. 9-17 il sabato e la domenica.
Perché solo 8 ore? (Ci continuano a chiedere in molti e noi continuiamo a rispondere)
Perché:
Crediamo nelle 8 ore lavorative per lo staff, chiudere alle 16 ci permette di non avere doppi turni e nessuno è costretto a fare straordinari.
Siamo specializzati nel caffè, nella pasticceria, nel brunch e nel pranzo, dopo le 16 diventa un lavoro che non ci appartiene, serale.
Una birreria, una vineria, un cocktail bar solitamente come orario fanno quello delle 18-2, sempre 8 ore. Perché un bar caffetteria dovrebbe fare diversamente? Alcool 18-2 / Caffè 8-16. Fa rima e c’è.
Il lavoro in nero è una piaga, non permette al consumatore di distinguere fra prezzi corretti e prezzi bassi ma ingiusti. Minimizzare gli orari permette al locale di minimizzare i costi e massimizzare l’offerta, il metodo di servizio e l’eventuale specializzazione.
Un caffè da noi costa dall’euro e cinquanta ai 5 euro (dipende dalla tipologia, dal lavoro che c’è dietro e dal terroir), ma supporta un sistema regolare.
Un caffè più economico ma che non supporta il lavoro in regola o una filiera agricola sostenibile sembra più economico ma è molto più caro sul lungo periodo a tutta la struttura sociale.
Se c’è qualcosa da rivedere è il concetto dei contratti nazionali che non favoriscono né il dipendente né il piccolo imprenditore della ristorazione e sono vecchi di cinquanta anni.
Ma questa è un’altra storia”.

 

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