Anna Prandoni (oltre a dirigere Gastronomika e aver ideato questo festival, ha tenuto le redini di diversi talk pomeridiani) ha spinto alla riflessione sul cambiamento della formazione e sul futuro di questo settore strategico. Una formazione che, come ha sottolineato, sia accurata: «Per ridare valore alle professioni ma soprattutto per ridare la voglia alle persone di partecipare a questo grande “circo” che è il mondo dell’enogastronomia».
Andrea Sinigaglia, direttore di Alma, ricorda quanto il cambiamento faccia parte del Dna stesso della formazione: «La formazione è adattiva, al sessantesimo corso di cucina italiana di Alma non c’è stata un’edizione uguale alla precedente. Quando un docente entra in aula guarda una platea e adatta i contenuti, addirittura il linguaggio del corpo, all’uditorio».
L’elemento gastronomico-stellato non è più la leva principale che spinge un ventenne a iscriversi ad Alma, racconta Sinigaglia, l’istanza principale è quella della sostenibilità. Una sostenibilità che Andrea vorrebbe nella sua accezione più ampia e non esclusivamente ambientale.
Incalzato da Anna sul tema descrive uno dei progetti in cantiere, il Life Climate Smart Chefs: «Un progetto europeo che pone al centro i ristoratori come protagonisti del cambiamento attraverso la creazione di uno strumento, come ad esempio un’app, dove il ristoratore possa inserire il proprio menu con una serie di dettagli e l’app restituisce una sorta di rating per definire quanto è davvero sostenibile. Il problema reale della sostenibilità è la misurabilità, ci sono ristoratori virtuosi negli acquisti ma che magari non lo sono nell’uso dell’energia».
Negli anni, oltre alla tecnologia, sono cambiati anche i linguaggi per comunicare e formare: ad Alma, per esempio, durante il corso di pasticceria le ricette non vengono più scritte ma disegnate.
Ciò che non è cambiato e rimane strutturale nella formazione è l’incontro tra le persone: «In aula portiamo le persone che hanno le mani screpolate, piene del lavoro, una sorta di antidoto alla iper-digitalizzazione». La sua definizione di formazione è alta: «La formazione è un’esperienza drammatica perché hai a che fare con una “materia” instabile, la persona, che in quel momento deve decidere cosa vuole fare della sua vita, e questo la rende tutti i giorni una sfida incredibile».
Marco Martinelli docente di Cast Alimenti, scuola con venticinque anni di storia, conferma che oggi i ragazzi hanno una grande voglia di imparare «Spetta a noi far sì che queste passioni si possano sviluppare al meglio. Puntiamo sulla presenza di tecniche e tecnologie di ultimissimo livello e la scuola collabora con aziende per lo sviluppo dei macchinari stessi. Il metodo Cast è un concetto di formazione che trae spunto dai docenti stessi che lavorano nella ristorazione e portano spunti nella scuola che li rielabora, creando un luogo di scambio. Traslerei quindi il termine formazione in relazione, la vera chiave di volta. Una relazione che abbatte anche le barriere tra le diverse professioni dell’enogastronomia: scuola, corsisti e mondo dei professionisti i tre attori di questa relazione. La scuola cerca di capire se quel corsista inserito in un laboratorio professionale è adatto a convivere con quelle persone, in una fase in cui ci sentiamo ancora responsabili come ente di formazione. Un’equipe può includere ma anche escludere».
La prima conclusione del dibattito è sicuramente quella che devono essere gli attori che erogano formazione a dover «Dare appeal a questa professione» sostiene convinta Anna, annuisce con convinzione anche Federico Lorefice, fondatore di Congusto e direttore di Grande Cucina.
La vera novità degli ultimi anni per Federico è la presenza di nuovi player in questo campo, è relegata al passato la sola presenza di scuole alberghiere, uno scenario che «… poteva essere un limite. Oggi non siamo noi che scegliamo gli utenti ma sono gli utenti che scelgono noi come un vestito su misura. I primi anni non sono stati facili anche per la presenza di punti di riferimento alti in Italia, come Marchesi, ma anche all’estero con Adrià che ha radicalmente cambiato l’approccio alla cucina. Vogliamo formare futuri professionisti un po’ più colti del passato, perché attraverso la cultura passa il cambiamento e la valorizzazione del settore. Ciò che a volte mi preoccupa è proprio l’inserimento di nuovi docenti, chi forma i docenti?».
«Il fatto che io sia un bravo chef non fa di me un bravo docente» è la chiosa di Anna che stimola Federico a proseguire «Tanti bravi maestri sono passati in scuole alberghiere e hanno lasciato le ricette ma non il segno di un cambiamento e di un modo di stare nel mondo del lavoro».
Il futuro prossimo di Congusto punta ad «Aprire la mente: pensiamo a come sono cambiati cuochi e pasticceri. Oggi i cuochi sono curiosi di scoprire il mondo dei lievitati e del caffè, hanno capito quanto sia importante seguire l’ospite in maniera completa e ampia. Per il 2023 pensiamo a percorsi polispecialistici che coinvolgono sala pasticceria e cucina, per scoprire qual è la passione che si vuol seguire. Il mondo dei grandi alberghi ha un po’ aperto la strada in questo senso dove un pasticcere segue la prima colazione ma anche il menu dei dolci del ristorante stellato».
«Le nuove generazioni non hanno un solo punto di arrivo, si concedono più possibilità. Il mondo delle nuove trattorie contemporanee racconta un po’ chi siamo ma anche dove stiamo andando, la tradizione non ci spaventa più come prima».
E proprio a partire da riflessioni come questa, che guardano ai giovani, che Anna ha immaginato un’occasione di incontro come il Festival di Gastronomika.
La realtà della formazione coinvolge aspetti molto concreti dell’esistenza «una parte della formazione che a volte ci dimentichiamo è che queste sono imprese economiche, occorre pensare anche al “cassetto”»; è lo spunto lanciato da Anna. Massimo Pasquali, Responsabile coordinamento aziende Banco Bpm, con una battuta sposa subito questa tesi «Non è detto che un buon chef sia poi un buon imprenditore».
E anche quando si tratta di far crescere idee imprenditoriali torna la centralità del rapporto di fiducia tra banca e imprenditore, la relazione. «La formazione è la base assoluta per costruire le cose e per trasmettere valori. Uno dei temi giganteschi che stiamo affrontando è quello dell’E.S.G. (Environmental, Social and Governance) che riguarda la sostenibilità ambientale ma anche la parte del sociale e della governance. Occorre fare squadra, non vedo concorrenti nemmeno tra le altre banche, dal migliore posso imparare qualcosa. Siamo una delle banche maggiormente presenti nelle startup e nel breve stiamo cercando di dare una mano nella risoluzione del problema legato all’energia e all’inflazione».
A proposito di investimenti in formazione cosa può spingere un’azienda a far crescere il bagaglio di conoscenze di chi opera nel settore dell’enogastronomia?
Valeria Raimondi, Direttore Editoriale S. Pellegrino Young Chef Academy e Fine Dining Lovers, risponde che per loro tutto è nato «da una competition nel 2015 con l’obiettivo di trovare il miglior giovane chef under 30 al mondo, l’evoluzione di questo progetto l’ha trasformato da circa due anni in una vera e propria Academy rivolta alle nuove generazioni». Il contatto con giovani chef e l’ascolto delle loro richieste ha fatto comprendere quanto fosse forte «la fame di capire come diventare bravi imprenditori: come faccio un business plan? Come gestisco entrate e uscite? Accanto anche la parte sulla sostenibilità umana attraverso la gestione e la motivazione dello staff. L’idea dello chef oggi è una figura sicuramente più complessa di quella che avevamo in mente anni fa, ha bisogno di imparare e cerca posti dove farlo».
C’è un nuovo posto a Milano dove fare formazione, si chiama Piazza dei Mestieri rappresentato da Daniele Paino. «Un altro tassello della formazione diverso dagli altri presenti al talk, ognuno differente ma non per questo in concorrenza» sottolinea Anna.
«Nasce quasi vent’anni fa a Torino inaugurata a maggio a Milano, di base è una scuola professionale per ragazzi dopo la terza media. Innanzitutto, Piazza dei Mestieri è un’opera sociale, dell’accoglienza, per dare un luogo ai ragazzi che non avevano una strada. Non per questo è un luogo per gli ultimi. La formazione cambia ma una cosa che non cambia è il desiderio dei ragazzi di diventare grandi, un desiderio che non sempre viene considerato. Si chiama “piazza” perché è un luogo fisico. Rispetto a un centro di formazione professionale abbiamo provato il mondo del lavoro all’interno; a Torino abbiamo un ristorante, un pub, produciamo birra e cioccolato, a Milano per ora un ristorante al quale vi invito proprio per il bisogno di relazionarci e capire cosa possiamo migliorare»
La cucina ci salverà? «Non lo so se ci salverà di sicuro ci farà bene» risponde Daniele, «Questo mondo dimostra che è già una bella cosa avere una passione e riuscire a farla diventare un lavoro, dare questa possibilità ai ragazzi sicuramente gli farà bene».