Bulldozer al posto dei trattori Le comunità agricole tedesche rase al suolo a causa del ritorno al carbone

Il cancelliere Scholz chiede di prolungare la vita di tre centrali nucleari, ma nel frattempo continuano le estrazioni del combustibile fossile più emissivo. A farne le spese sono soprattutto gli abitanti dei piccoli villaggi, costretti a cambiare vita 

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Una «cattiva idea». Secondo Greta Thunberg, il piano del governo tedesco per la dismissione delle centrali nucleari – che producono energia senza rilasciare gas serra, ma che vengono spesso contestate dagli attivisti climatici per via delle scorie radioattive – è «un errore», se si traduce in un maggiore utilizzo del carbone, il combustibile fossile più emissivo. Un’uscita che potrebbe rivelarsi la sliding door del movimento ambientalista dei Fridays for future

Qualcosa, ora, si sta muovendo: il 17 ottobre, il cancelliere Olaf Scholz ha chiesto a tre ministeri (Economia, Ambiente e Finanze) di creare le condizioni giuridiche per permettere alle tre centrali nucleari ancora operative di restare aperte almeno fino al 15 aprile 2023: «Come cancelliere, in base al paragrafo 1 dell’ordinamento del governo, ho preso la seguente decisione: si porranno le basi giuridiche affinché il funzionamento delle centrali Isar 2, Neckarwestheim 2 e Emsland possa continuare oltre il 31 dicembre del 2022 e non oltre il 15 aprile 2023», ha detto. 

Tornando alla dichiarazione (realista) dell’attivista svedese, possiamo definirla la conseguenza di un fatto ancora difficile da quantificare, ma probabilmente inevitabile: quest’inverno il consumo di carbone della Germania – la Nazione demograficamente ed economicamente più grande d’Europa – potrebbe aumentare. I volumi esatti saranno determinati dalla clemenza della stagione e dalla capacità della Francia di esportare elettricità.

La guerra in Ucraina, che ha ridotto la disponibilità di gas russo in un Paese fortemente dipendente come la Germania, ha già prodotto un aumento del 5 per cento di generazione elettrica proveniente da carbone. Oggi, la generazione di energia elettrica tramite carbon vale quasi un terzo del totale.

Nei mesi freddi l’affidamento alla lignite pare sarà ancora maggiore, perché la domanda energetica sale e la Germania ha necessità di risparmiare gas: non c’è solo l’inverno imminente da superare, infatti, ma anche quello successivo, considerato che nell’estate 2023 il riempimento degli stoccaggi potrebbe farsi difficile.

Bruciare carbone al posto del gas avrà delle conseguenze negative sul clima e renderà più complicato il rispetto degli obiettivi comunitari di riduzione delle emissioni entro il 2030. In quell’anno, peraltro, scadrà la promessa della Germania di eliminare l’uso del carbone. E a inizio ottobre la società elettrica tedesca Rwe ha fatto sapere che anticiperà il phase out della lignite proprio al 2030. 

Nel frattempo, Rwe continua ad andare alla ricerca di depositi di carbone. L’azienda e il governo ne hanno individuati nel sottosuolo di Lützerath, un piccolo villaggio agricolo – la cui popolazione era di appena novanta abitanti – nella Germania occidentale, al cui posto sorgerà una miniera a cielo aperto. L’impatto del carbone non sarà solamente atmosferico, dunque, ma anche paesaggistico e sociale.

Dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico, però, il prelievo del carbone dai giacimenti domestici è preferibile perché mette Berlino al riparo dagli eventuali intoppi logistici. La siccità di quest’estate, per esempio, ha fatto precipitare i livelli delle acque del Reno e ostacolato il trasporto del combustibile sbarcato nei porti di Rotterdam o Amsterdam.

La sorte di Lützerath è la stessa di tante altre comunità agricole tedesche sorte in località carbonifere: le fattorie vengono demolite per fare spazio ai siti estrattivi, i trattori vengono sostituiti dai bulldozer e i campi un tempo coltivati finiscono coperti dalla polvere.

Nello stato della Renania Settentrionale-Vestfalia – dove si trovano Lützerath e la miniera Garzweiler, che ha cancellato una ventina di villaggi e imposto il ricollocamento di cinquemila persone – sono stati scoperti circa 1,3 miliardi di tonnellate di economica lignite.

Il prezzo, per i fattori, è la perdita dell’identità e lo sfilacciamento dei legami comunitari. «La guerra di aggressione di Putin ci costringe temporaneamente a fare maggiore uso della lignite, in modo da risparmiare gas nella produzione di elettricità», ha spiegato il ministro dell’Economia e del Clima Robert Habeck, già leader dei Verdi. «È una scelta dolorosa ma necessaria, vista la carenza di gas».

«Ci troviamo in una situazione schizofrenica: puntiamo all’abbandono nel 2030, ma permettiamo comunque a Rwe di andare a cercare la lignite a Lützerath», ha dichiarato al New York Times Karsten Smid, attivista di Greenpeace. «Se lo state facendo per la crisi energetica», ha aggiunto, «non c’è bisogno del carbone di Lützerath». Alcuni esperti sostengono in effetti che non ci sia bisogno della lignite sotto il villaggio per coprire la domanda di carbone per questo inverno. Ma a Berlino potrebbero volersi già preparare alla stagione fredda 2023-2024.

L’opinione pubblica, intanto, non sembra interessarsi granché della sorte di Lützerath: manifestazioni di massa in difesa del villaggio non ce ne sono state, e quest’estate il 56 per cento dei cittadini tedeschi si è detto favorevole alla riattivazione delle centrali a carbone per compensare la scarsità di gas; solo il 36 per cento era contrario. Nel 2019 – prima che iniziasse la crisi energetica, degenerata con l’invasione russa dell’Ucraina – ben il 73 per cento della popolazione voleva eliminare il carbone dal mix energetico «il prima possibile». 

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