Caccia all’insensibilitàLa psicologia spiccia di Signorini e il mancato lodo Nudo del Grande Fratello (Vip, teoricamente)

Un concorrente del reality show di Canale 5 è uscito dichiarandosi depresso e gli spettatori hanno scoperto che i disperati scelti tra lo star system di serie C non brillano per intelligenza emotiva

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C’è stato, incredibilmente, un momento culturale, nel lunedì sera di Canale 5. Come sa chiunque non sia appena tornato da Marte, lunedì sera c’è stato lo stallo alla messicana del Grande Fratello (Vip, teoricamente).

Come sa chiunque eccetera, un concorrente è uscito dichiarandosi depresso, e a quel punto è partita la caccia all’insensibilità. L’Italia ha scoperto che un’accolita di disperati che per poche decine di migliaia di euro sono disposti a stare in diretta ventiquattr’ore al giorno, a vivere con le telecamere nel gabinetto, a non avere alcun intrattenimento che li distragga dalla loro mancanza di vita interiore, l’Italia s’è accorta con sconcerto che questi disperati non spiccano per intelligenza emotiva.

Scusate, dimenticavo un dettaglio: questi disperati che, dagli autori dei reality, vengono scelti per la loro vocazione a entrare in conflitto e a ripetere «empatia» come didascalie di Instagram mentre cercano l’inquadratura che più facilmente possa diventare gif e fare di loro, solo di loro, sempre di loro il concorrente cui il pubblico presta attenzione. Questa carne da zoo di vetro ci saremmo aspettati avesse voglia di dar retta a un depresso. Ma certo.

Quindi lunedì sera viene illustrata la drammatica vicenda di crollo psicologico di questo tizio – che nessuno di noi sa chi sia, come non abbiamo mai sentito nominare nessuno dei concorrenti di questo programma che si svolge in Italia, un paese dove la panchina dello star system è così corta che figuriamoci cosa può essere la serie C dei reality: gente nota sì e no ai propri follower.

Mentre Alfonso Signorini – tutti i virgolettati in questo articolo sono suoi – ci illustra la vicenda utilizzando parole a casaccio che gli suonino colte («Succede anche questo e il Grande Fratello lo illustra nella sua crudità»; «Voglio concludere il discorso narrativo»; «Le regole di un game si attengono alla superficie»), la regia inquadra gli altri. Quelli che dallo studio televisivo permanente non se ne sono andati perché equipaggiati di solido equilibrio psichico.

C’è uno che per percepirsi femmina s’è fatto tanta di quella roba in faccia che si può guardare solo con le mani davanti agli occhi come le scene particolarmente macabre degli horror (la sua crudità, direbbe Signorini). C’è uno che sgrana una specie di rosario (facciamolo ministro dell’Interno). C’è una famosa per essersi inventata un fidanzato. Eppure il messaggio della conversazione collettiva è che c’è uno specifico caso di fragilità così grave da spiccare in questo nido del cuculo.

Dice Signorini che lui di solito ai provini è molto bravo a intuire le cartelle psichiatriche, che lui di solito le fragilità le scorge, ma questa volta «non l’ho scórta». Si autocertifica varie volte le abilità di psicologo clinico, «di solito sono molto abile nel leggere dei disagi» (immagino sottintendesse: specie quelli evidenti come i vostri, cari disadattati che siete qui a risolvere il problema che non vi scritturano per nessun film o programma ma non volete trovarvi un lavoro vero e il mutuo dovrete pure pagarlo).

Poi dà la colpa alla psicologa vera («La colpa è di chi non ha riconosciuto da un punto di vista medico la sua complessità»), poi cita Carl Jung, che chiama Carl Young. «Datemi una persona equilibrata che mi prenderò io cura di lui», sgrammatica Signorini la citazione junghiana, e io per un attimo penso che forse sarebbe stata più calzante «Datemi un eroe e vi scriverò una tragedia» – ma poi chissà Signorini come avrebbe pronunciato Francis Scott Fitzgerald.

Poiché la realtà non la raccontano certo gli elzeviri o i libri di saggistica, ventun anni fa la serata di lunedì l’ha raccontata un romanzo inglese. Lo scrisse Ben Elton, s’intitolava Dead Famous, ed era ambientato dentro un programma chiamato House Arrest. Un gruppo di disgraziati in forzata convivenza sotto le telecamere. Una sera sono in sauna, e uno di loro viene ammazzato. Da chi? Quale altro crudele concorrente l’ha ucciso? Chi è carnefice e chi potenziale ulteriore vittima?

Al momento fondativo dei reality italiani, nell’autunno 2003, Alfonso Signorini assistette da testimone. Era opinionista della prima edizione dell’Isola dei famosi, quando Walter Nudo entrò in sostituzione d’un altro concorrente a gara iniziata, ostracizzato dal gruppo che aveva già formato legami.

Da casa trasecolavamo: come fanno a non capire che fare l’uno-contro-tutti significa consegnargli la vittoria? Non lo capirono allora né adesso: la serie C dello star system italiano non è ferrata in psicologia sociale e dinamiche di gruppo. Se il concorrente dello scandalo di questi giorni decidesse di rientrare in gioco, vincerebbe sicuramente. Il lodo Walter Nudo non si applica solo perché il Nudo di quest’edizione ha abbandonato il gioco.

Poi sì, si potrebbe parlare di come l’epoca che più ama invocare l’empatia e la salute mentale sia quella che meno sa di cosa parla quando parla per frasi fatte. O potrei dirvi come finiva Dead Famous, tanto in Italia non è mai uscito: il concorrente l’aveva ammazzato un produttore del programma, perché il cadavere avrebbe alzato lo share. (Ventun anni dopo, tutta questa psicanalisi di gruppo vale poco più di tre milioni di spettatori, e non è che su Rai1 ce ne fossero di più: forse la notizia della morte della tv non è esagerata). 

Ma preferisco concentrarmi sul momento culturale in cui, un’unica volta in non so quante ore, Alfonso Signorini ha utilizzato il registro lessicale appropriato rispetto alla situazione e agli interlocutori e al pubblico. Preferisco pensare all’irripetibile momento in cui ha detto, a qualcuno che giustificava la propria indifferenza nei confronti d’una depressione che rischiava di catalizzare l’attenzione del pubblico e riproporre il lodo-Nudo, un’aulica e precisa e illuminante frase. Non «questo programma parla di vita». Non «il dolore di Marco è il dolore di tutti». Il momento in cui, che il dio della spiccezza ce lo conservi, Signorini ha liquidato una petulanza con «non dire cazzate».

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