Verso il ballottaggioCon Lula la svolta ambientale del Brasile non è affatto scontata

Le resistenze delle lobby agroalimentari e lo sviluppo della criminalità organizzata in Amazzonia sono i due ostacoli più grandi. Inoltre, il programma elettorale “green” dell’ex presidente ha difetti da non sottovalutare. Ad ogni modo, una vittoria del leader socialista rappresenterebbe un fondamentale passo in avanti rispetto al negazionismo e ai crimini di Bolsonaro (e del suo governo)

AP Photo/LaPresse

Il Brasile è il sesto Paese al mondo per emissioni di anidride carbonica. Nei primi sei mesi del 2022, stima il Wwf, la deforestazione ha raso al suolo quasi 4.000 chilometri quadrati dell’Amazzonia brasiliana (1.120 solo a giugno). E ancora: dal 2010 al 2019, secondo una nota ricerca pubblicata da Nature, il bacino amazzonico dello Stato sudamericano ha emesso 16,6 miliardi di tonnellate di CO2, mentre ne ha assorbite “solo” 13,9.

In mezzo a tutto ciò, le vittime del genocidio indigeno stanno toccando cifre sempre più allarmanti (quasi 200 uccisioni nel 2021) ed è in atto una guerra non dichiarata contro gli attivisti ambientali. Le responsabilità sono chiaramente del governo di estrema destra di Jair Bolsonaro, che alle presidenziali di domenica 2 ottobre ha ottenuto più consensi rispetto alle previsioni dei sondaggi: 43,23% contro il 48,39% del candidato di sinistra Luiz Inácio Lula da Silva.  

Il tema climatico, non è una novità, è al centro delle elezioni che si decideranno il 30 ottobre con il ballottaggio tra i due leader. Bolsonaro ha aumentato gli incentivi alla produzione di gas fossile, ha ridotto gli sforzi per contrastare la deforestazione legale e illegale (secondo il report di Greenpeace “Dangerous man, dangerous deals”, con lui è cresciuta del 75,6%) e non ha mai nascosto il suo negazionismo climatico. «Alla fine dei conti, il Brasile non deve nulla al mondo in relazione alla salvaguardia dell’ambiente», aveva detto l’ex militare brasiliano nel 2019, poco dopo la sua nomina. Il Brasile ha bisogno di una svolta rapida, ma non sarà semplice bilanciare gli obiettivi ecologici con quelli economici. 

Gli sforzi ecologici di Lula
Una vittoria di Lula, che è stato presidente dal 2003 al 2011, sarebbe senza dubbio una buona notizia per l’ambiente e – in particolare – per l’Amazzonia, e potrebbe riportare il Brasile ad avere un ruolo determinante nei negoziati sul clima a livello internazionale. Durante la sua presidenza, stando ai dati satellitari, la deforestazione è diminuita da 27.700 chilometri quadrati all’anno a 4.500 chilometri quadrati all’anno: merito della creazione di aree di conservazione e riserve indigene, ma anche grazie al sistema di compensazione del carbonio istituito dall’Onu e dal Fondo Amazonia. Se Lula diventasse presidente, entro il 2030 un’area grande come l’Irlanda verrebbe risparmiata dalla deforestazione: è la stima derivante da una serie di studi condotti da Carbon Brief, l’università di Oxford e il National institute for space research. 

Ad aprile, durante la campagna elettorale, il leader socialista ha proposto la creazione di un ministero delle Questioni indigene e promesso la revoca dei decreti approvati da Bolsonaro che minacciano i nativi: «Se torniamo al governo, sulla terra indigena nessuno farà nulla senza il consenso dei loro abitanti», aveva dichiarato. In più, ha in programma di riformare l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e di chiudere le miniere illegali in Amazzonia: le estrazioni illecite sono aumentate con Bolsonaro, e spesso si sono verificati scontri tra i cercatori d’oro e le comunità indigene Yanomami. Un altro punto da considerare riguarda l’apertura di Lula agli aiuti internazionali sulla protezione e la conservazione delle foreste, cosa a cui il presidente di estrema destra si è sempre opposto. 

Luiz Inácio Lula da Silva punta poi a dare maggiore autorità all’Instituto Brasileiro do Meio Ambiente e dos Recursos Naturais Renováveis (Ibama) – il “braccio amministrativo” del ministero dell’ambiente brasiliano – e a rispolverare un piano fermo dal 2015 per il contrasto alla deforestazione illegale.

Non va poi sottovalutato il recente riavvicinamento tra l’ex presidente e Marina Silva, ministra dell’Ambiente durante il primo governo Lula dal 2003 al 2008. I due hanno firmato un documento che impegna Lula, in caso di vittoria, al perseguimento di un’agenda ambientale trasversale: «L’accordo in direzione di una economia a basse emissioni, e noi qui in Brasile abbiamo addirittura condizioni migliori dei Paesi del nord del mondo che hanno più risorse economiche», ha spiegato Marina Silva a Domani

Una svolta complicata  
Le buone intenzioni di Lula per l’ambiente potrebbero però incontrare ostacoli insormontabili. Ane Alencar, membro dell’organizzazione no profit IPAM Amazônia, ha spiegato alla rivista britannica New Statesman che «quando Lula è salito al potere per la prima volta, in Amazzonia non c’era lo stesso livello attuale di criminalità organizzata». Un problema estremamente complesso da sradicare nel breve periodo. «Le organizzazioni criminali armate in Amazzonia hanno trascorso gli ultimi quattro anni sentendosi libere di fare quello che volevano. Rappresentanti statali e politici locali hanno legami con la criminalità ambientale. Lula, quindi, avrà bisogno della pressione pubblica e del sostegno internazionale per riprendere il controllo di una regione che costituisce il 60 per cento del Paese», ha spiegato Cláudio Ângelo dell’Osservatorio sul clima brasiliano. 

Gli obiettivi green di Lula, come ricorda l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), rischiano di scontrarsi anche con gli interessi (ingombranti) delle lobby dei settori agricoli e della pastorizia, che si battono per lo sfruttamento delle risorse naturali ai fini – a detta loro – dello sviluppo economico del Brasile. Questi gruppi di pressione, all’interno del Congresso, tutelano «gli interessi di garimperios e gauchos.

I primi sono i discendenti dei cercatori d’oro, i secondi dei migranti del Rio Grande do Sul. Entrambi i sono arrivati nelle regioni centrali e settentrionali (Amazzonia inclusa) attratti dalla disponibilità di terre fertili, risorse e depositi minerari. È ovvio che politiche a tutela dell’ambiente ostacolerebbero coloro che dallo sfruttamento delle risorse traggono la propria fonte di sostentamento», sottolinea Benedetta Oberti dell’Ispi. In caso di elezione, l’ex presidente dovrà costantemente bilanciare le questioni ambientali con quelle economiche: una sfida ancor più complessa e delicata all’interno di uno Stato tristemente dominato dalla corruzione. 

Ambientalista ma non troppo
Il programma ambientale e climatico di Lula non è tutto rose e fiori. Come ricorda Claudia Fanti sul Manifesto, l’obiettivo della deforestazione zero è stato sostituito in corsa da quello della “deforestazione liquida zero”. Cosa significa? A ogni ettaro di terra deforestata deve corrispondere il rimboschimento di un altro ettaro. Si tratta dunque di un traguardo un po’ meno ambizioso rispetto al punto di partenza. Inoltre, Lula non ha parlato di una riduzione dell’estrattivismo petrolifero e non ha escluso un maggior sfruttamento dei giacimenti petroliferi sottomarini. 

L’ex presidente nazionale del Partito dei lavoratori brasiliano si è poi detto favorevole all’autostrada in Amazzonia: l’infrastruttura – appoggiata anche da Bolsonaro – consisterebbe nella ricostruzione e nell’asfaltatura della BR-319 (unisce Manaus al resto del Brasile). Un progetto presentato da Lula come un capolavoro di «crescita e sviluppo», aspramente criticato dalle associazioni ambientaliste e per i diritti degli indigeni. 

Secondo Philip Fearnside, noto biologo che opera da anni e anni nel Paese sudamericano, l’autostrada «esporrà una vastissima area alla pressione» dovuta alle attività annesse all’introduzione di un’infrastruttura così mastodontica. Ora, di fatto, la BR-319 è una lunga lingua di sterrato che è spesso inaccessibile a causa del fango che si crea con le piogge: indirettamente, le aree circostanti sono protette delle attività antropiche potenzialmente dannose per la natura e per le comunità locali. La sua asfaltatura, secondo alcune stime, potrebbe quintuplicare la deforestazione da qui al 2030.

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